Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
      cono ricevesse l'ufficio di educare lo erede del trono, voglio dire queir Enrico IV, cui, anni dopo, Ildebrando da papa fu mortale e irreconciliabile nemico. La sua vita giovanile è a noi giunta ingombra di quelle favole e leggende, che sogliono sempre trasfigurare la storia degli uomini celebri, tanto più numerose e fantastiche quanto più rozzi procedono i tempi in che sono vissuti. Ma altri vada pure immaginando come gli aggrada sulla vita privata del celebre uomo, alla storia spetta seguire il procedimento della sua vita pubblica, la quale propriamente s'inizia dall' anno, in cui, eletto Leone IX, Ildebrando recossi in Roma col nuovo pontefice, ed asceso con esso sopra la navicella di San Pietro, prese a guidarla, riattandola in modo che quando ne prese egli solo il governo, potè spingerla intrepidamente tra la furia delle tempeste a sfidarle e domarle.
      A rendere alla chiesa il perduto splendore era mestieri purificarla per mezzo d' una generale riforma; la quale veniva concordemente desiderata da quanti erano uomini probi in quell'età di corruzione,e perfino dallo stesso imperatore, le cui usurpazioni massimamente la producevano.1 Ildebrando, così come veniva addentrandosi nelle faccende del governo della chiesa, conobbe che la rigenerazione di quella non poteva compirsi finché il capo supremo rimanesse sotto la dipendenza dello imperatore. Ad emancipare il papato da ogni terrena potestà, quindi, fin d'allora studiava ogni umano argomento. La solitudine non aveva punto in lui scemato quel senso pratico, senza il quale la più vigorosa mente politica urterebbe in vani e spesso dannosi deliri; egli ripeteva sempre che l'uomo non diventa grande ad un tratto, e che gli
      1 Enrico III, allorquando nel 1047 rngnnò un concilio in Costanza, inveì contro la simonia rivolgendo ai prelati ivi presenti, queste parole » Voi, che dovreste spargere le benedizioni sulla terra , corrotti dalla avarizia e dalla cupidigia terrena , siete degni d' esser maledetti. Ahi I mio padre, per l' anima del quale io tremo non poco, mio padre pur troppo si abbandonò ciecamente a quel vizio funesto. Chiunque di voi è lordo di tale infamia, debbe essere privato il' ogni sacro ufficio , perocché tanta turpitudine fa cadere sugli uomini la fame, la guerra e la peste » 1 prelati esterrefatti implorarono mer-eè ; nia Enrico soggiunse più severe parole. — Vedi Voigt, Storia di Gregorio VII, parte I, cap. I.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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