Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
ibiSTO IH A DEI COMUNI ITALIANI.
deluse le speranze degli Italiani e tradita l'Italia ;1 essere quindi indegno di portare lo scettro, doversi tosto strapparglielo, e porlo nelle mani del figlio, il quale, benché giovinetto, vorrebbe vendicarli dalla tirannide d'Ildebrando.
XVIII. Da un avvenimento così straordinario uscirono due gravissimi effetti. L'atto del capo dello impero che si prostrava così vilmente ai piedi del pontefice, e dalla costui misericordia o giustizia implorava di essere riposto sopra quel trono, dal quale, colpito da'fulmini del Vaticano, era stato rovesciato a terra, era un solenne riconoscimento della supremazia della corte di Roma su tutti i principi della terra, anche in quanto al potere temporale. Il contegno crudele di Gregorio mirava ad uno scopo altamente politico, e male ci apporremmo ove ne concludessimo che il suo cuore era ignudo di compassione, dacché, senza cercarne altri esempi, egli ne porse contraria prova in quella occasione medesima co' vescovi e gli altri fautori di Enrico, i quali erano accorsi a Canossa per essere assoluti dalla scomunica. Gregorio, pago di vederli umiliati, li tenne rinchiusi per parecchi giorni in celle separate mortificandoli con un rigoroso digiuno, e li rimandò senz' altro pacificati con la chiesa alle proprie sedi. Ma con Enrico fu crudelissimo,2 perocché voleva dimostrare al mondo, che il grandissimo de'principi del secolo al cospetto del papa valeva quanto l'ultimo degli uomini. Giusta siffatto principio era suo intendimento inalzare l'autorità sola della chiesa annientando quella della potestà civile, traducendo, cioè, il diritto divino in diritto papale.3 E così forte infiammossi della sua straordinaria impresa che talvolta trascorse ad espressioni che parrebbero quasi esagerate sulle labbra del più caldo
1 Lamberti».
3 Lo affermano gli stessi apologisti contemporanei di Gregorio.
3 Enrico aveva già scritto all' arcivescovo Annone invitandolo a recarsi alla dieta di Vormazia. « Tutto il furore d' Ildebrando viene da ciò clie io voglio riconoscere la corona da Dio solo, e non da lui J e per ciò minaccia di privarmi del trono e dannare l'anima mia. Non pago di tali oltraggi, trova sempre nuovi pretesti per vituperarmi. Non potrei dire con quale spregio egli lia trattati i ministri che gli ho inviati, con quante crudeltà gli ha sepolti dentro le prigiooi. facendo loro patire la nudità, il freddo, la fame, la sete, e per lino le battiture. » Uenr. IV imp. episl . aptid Urstisiuui.
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