Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
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storia diCI comuni italiani.
già incominciato à primeggiare Firenze, oltre d'avere sofferte per lunghi anni le devastazioni dello masnade tedésche, gemevano sotto l'ontoso giogo del vicario imperiale che aveva Stanza nel castello di Sai! Miniato. Enrico aveva dato quell'uffizio col titolo di Duca di Toscana a un suo fratello, di nome Filippo, che per la morte di Corrado altro fratello, era poi_ stato anco investito del ducato di Svcvia. Ma i Toscani non avevano nò la prosperità liè la forza di quei di Lombardia; alle aggressioni ed alla continua oppressione imperiale oppónevano non una resistenza comune ma parziale, resistenza che quando anco fosse seguita da prospero successo, non poteva produrre la sicurtà futura di nessuno di quéi piccoli comuni.
Ma appetta la Italia esultò alla morte dello abborrito Eni'i-co> anche le terre toscane destarònsi, fecero senno, e sollecitamente posero l'animo a imitare i Lombardi, che congiunti insieme avevano lunghi anni resistito al piti possente de' Cesari germanici, e in fine trionfato a Legnano. La fortuna pareva proteggerli togliendo loro ogni ostacolo a mandare ad esecuzione l'egregio e salutare pensiero. Il Duca di Svevia e di Toscana, (ilio conduceva in Germania il nipote Federigo per farlo incoronare re de' Romani, era giunto a Montefia-scone allorquando udita la morte dello imperatore ^ frettolosamente tornò in Germania. I comuni, quindi, di Toscana, liberi dalla molestia di costui, inanimiti dalle turbolenze scoppiate oltre le alpi fra i pretendenti alla corona, formarono, nel novembre del 1197, una lega, nella quale ciascuno e tutti co-stituivansi scambievoli mallevadori e cooperatori alla comune salvezza, a mantenere, cioè, la libertà delle città tutte, poste sotto la tutela della chiesa romana. Se non la promossero, certo l'approvarono e incoraggiarono, i cardinali Pandolfo e Bernardo legati pontificii; e forse vi furono mandati in quella occasione, dacché il vecchio Celestino, umiliato dal superbo procedere de'Tedeschi, e segnatamente di Marqualdo — che, a dispetto del papa, era stato fatto duca di Ravenna e marchese d'Ancona — stanco di vedere lo strazio delle terre della Chiesa, appena seppe la morte di Enrico e udì i primi muggiti della procella in Germania, non ebbe più inciampi a rial-
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