Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
libro quinto.
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favorisse più la sua grande operosità. Più volte tentò di ridurre ad obbedienza i Romani, ma più volte costretto a fuggire , e richiamato, non era riuscito nell' impresa. E mentre scomunicava i principi e i comuni al minimo attentato contro le immunità della Chiesa, gli era forza tollerare che i Romani assoggettassero ai tribunali civili e ai pubblici balzelli gli uomini e i beni ecclesiastici. Cagione apparente al conflitto tra il pontefice e il suo popolo era la guerra che da tanti anni ardeva tra Roma e Viterbo. Gregorio veniva accusato di proteggere i Viterbesi per sottrarli all' ira de' Romani, i quali volevano far loro provare la miseranda sorte che era già toccata ad Albano. La cagione vera e meno apparente era lo spirito di libertà che infiammava il popolo di Roma, e che, in perenne lotta col principio teocratico, al più lieve soffio di vento suscitava tale un incendio da diventare universale insurrezione. Il verno del 1231 è notato dai cronisti di quel tempo come oltre ogni immaginare crudissimo. La estrema carestia ridusse la plebe a tali insopportabili angustie che ne scoppiò un tremendo tumulto. Al papa venne fatto di salvarsi a Rieti. I Romani, che più non sentivano riverenza per un pontefice cotanto corrivo sì a fuggire dal suo seggio che a ritornarvi, spedirono legati nelle terre toscane soggette alla Santa Sede perché giurassero fedeltà e pagassero i tributi al senato ed al popolo. Tale atto dimostrava come essi avessero intendimento di costituirsi a libero comune.
Ne rimase attonito lo imperatore Federigo, il quale avendo inanimiti i Romani a disubbidire al pontefice, adesso era costretto a provare i cattivi effetti de' perniciosi ammonimenti, voglio dire se Roma sottraevasi al dominio temporale del papa, riformandosi a libero comune, non si metteva in cammino di ridursi all'obbedienza dell'impero. Egli temeva lo esempio di Roma non diventasse perniciosissimo portandogli sino ai confini del regno siciliano la pestilenza delle libertà comunali. Federigo era principe. Lo interesse di lui e quello della Chiesa in questa faccenda era identico; ond'egli, o annuente alla preghiere del pontefice che implorando soccorso a tutti i principi della cristianità, lo aveva forse chiesto anco a lui, o di sua spontanea volontà, corse a Rieti col figlio Corrado a complire
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