Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO SESTO.
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comune; quando alzossi Farinata degli Uberti, il quale aveva rinomanza di grande dicitore non che di grande guerriero; impose silenzio, esacrò la disumana e fratricida proposta, protestò che avrebbe maledetta la vittoria, avrebbe chiamato gì' inimici alle armi e con loro si sarebbe congiunto, ed ove nessuno avesse risposto, avrebbe egli solo impugnata la spada a difendere la patria diletta. Le altere ed animose parole del prode cittadino resero attonita e riverente l'assemblea. Nessuno osò contradirlo. Firenze fu salva. E se.la magnanima ed eroica azione fu poscia dallo ingrato popolo rimeritata di turpissima ingratitudine verso Farinata non solo, ma verso tutta la sua progenie, la storia fino da que' tempi poneva il nome di lui accanto al nome di Camillo salvatore di Roma,1 e la musa ispirava, in lode del grande uomo, al grandissimo di tutti i poeti d'Italia, versi che dureranno finché il mondo starà.sXVII. La rotta di Montaperti contristò gravemente l'animo del papa , il quale nel tempo medesimo non era satisfatto del modo con che gì' interessi della Chiesa procedevano in Lombardia. E però, facendo capo da'Sanesi, scomunicò con Manfredi tutti i comuni e signori ghibellini che gli avrebbero porto ajuto o consiglio. Ma tali argomenti tornavano dovunque inefficaci, poiché mentre i Guelfi di Toscana andavano tapinando per le terre d'Italia, mentre in Roma crescevano i partigiani di Manfredi, il più potente capo di parte guelfa, cioè Martino della Torre era in concordia col marchese Pela-vicino, che mantenevasi pur sempre ghibellino, ed a Manfredi oltre misura devoto. E' pare che papa Alessandro altro conforto non desse ai vinti che una vana speranza di un bene futuro. Per la qual cosa i guelfi fiorentini, comecché per principio odiassero la straniera dominazione e il nome imperiale, e portassero astio peculiare alla casa di Svevia, non isdegnarono di rivolgersi all'ultimo rampollo del sangue svevo, voglio dire al fanciullo Corradino, e mandarono am-basciadori a fine di persuaderlo a calare in Italia. Ma mentre duravano queste pratiche, la corte di Roma trovava più pronti
« G. Villani, lib. VI, cap. 8).
1 Dante, Inferno, Canto X.
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