Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO SESTO.
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      re, le quali se sono efficacissime a farci intendere quale inestimabile e più che umano tesoro sia il possesso della libertà, potrebbero indurci a maledire la umana natura, che qualvolta si mostri schifosamente scellerata, ci fa desiderare che il creatore la disfaccia. Ma non possiamo passare sotto silenzio lo assassinio giuridico di Corradino e de' suoi più illustri commilitoni.
      XXVII. Carlo come gli ebbe tra le mani, afferma taluno ne chiedesse consiglio al pontefice e che questi lo esortasse alla clemenza. Altri vogliono non consigliasse di ucciderlo, ma a modo d'oracolo rispondesse : La vita di Corradino è morte a Carlo. — E Carlo certamente non voleva la propria morte. Da principe buono e potente volle che il capo del principe Svevo cadesse sotto la scure della giustizia. Convocò a parlamento i suoi baroni e i deputati o sindaci della città, e ordinò di procedere legalmente contro Corradino.
      Tutti opinarono non doversi considerare qual traditore; e Guido da Suzara, famoso giureconsulto, con sottile e franco ragionamento, riassumendo il pensiero dell'assemblea, dimostrò non potersi nè doversi Corradino condannare nel capo. Un solo de' giudici —ed era provenzale— diede il voto di morte; il quale bastò a re Carlo perchè facesse da Roberto da Bari protonotaro del regno profferire la sentenza. Il giovinetto giuo-cava a scacchi col suo cugino Federigo allorquando gli fu annunciata. Tre giorni dopo, cioè il dì ventesimosesto d'ottobre del 1268, un palco coperto di porpora sorgeva in mezzo alla piazza del mercato di Napoli. Vi accorreva immensa turba di popolo. V' era anche il re con tutta la sua corte. Asceso Corradino sul palco, Roberto da Bari, o come altri scrivono, il giudice provenzale lesse la sentenza con tale insolente contegno, che lo stesso genero di Carlo, sentendosi ribollire il sangue, si avventò contro il vigliacco magistrato e lo ferì col pugnale. Corradino, che mansueto al pari d'un agnello stava per porgere il collo al carnefice, come sentì accusarsi di tradimento e di altri disonorevoli delitti, s'accese di sdegno, e con altero parlare dichiarò calunnie le accuse di Carlo, si disse figlio ossequente della Chiesa, giurò di non avere voluto offenderla, ma di avere impresa la guerra a solo fine di
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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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