Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO SESTO.
      non gli volgesse le spalle. Ma la fortuna pur allora parve visitarlo con una non lieve traversìa. Papa Clemente, parecchi giorni dopo il macello di Corradino, moriva, e in lui Carlo d' Angiò perdeva il più valido strumento di sua potenza. Se non che, discordanti i cardinali intorno alia elezione del successore, la lunga vacanza della sedia apostolica non fu di detrimento al re, al quale nessun danno poteva accadere che si agguagliasse alla venuta d'un pontefice, non dico ostile, ma fermo imitatore del terzo Innocenzo.
      Carlo adunque mentre esercitava pieno dominio in Toscana e nelle terre soggette alla autorità pontificia, volle tentare un gran colpo in Lombardia. Quivi parte ghibellina era oltremodo prostrata. Perduto il capo supremo, nè potendo rivolgere le speranze ad altrui — imperocché lo impero era come vacante, nò finché vivevano Riccardo di Cornovaglia ed Alfonso di Castiglia v'era speranza che gli elettori, già corrotti ed infamati, procedessero ad una nuova elezione — e più ancora perduti o ridotti alla impotenza i capi ghibellini, e massimamente Oberto Pelavicino e Buoso da Doara, era come corpo ancor vivo, cui venga meno la mente.
      La sgominata parte quindi non poteva opporre il proprio vessillo a quello di Carlo potentissimo capo dei Guelfi; ma anche a lui faceva mestieri lottare con altro più valoroso atleta, col quale non gli era dato in quelle condizioni venire ad aperta tenzone, e che solamente ei poteva con le blandizie e le carezze trarre in inganno: io dico col popolo de' Comuni, il quale di fresco inebbriato per una gran vittoria, e desto a libertà, non se la sarebbe di leggieri lasciata impunemente e ad un tratto ritogliere. Di fatti allorquando Carlo dopo .varii e lunghi raggiri, dopo d'avere concitato le passioni, e dato i popoli in preda alla più sfrenata licenza, mandò oratori perchè, adunando in Cremona un parlamento di tutte le città lombarde le inducessero ad acclamarlo loro signore, solo sei comuni assentirono; ma Milano, Vercelli, Como, Alessandria, Novara, Tortona, Torino, Pavia, Bologna, Bergamo respinsero ogni proposta, non accolsero le ragioni con che gli oratori volevano persuadere la impreteribile necessità di quel fatto per rendere compiuta e duratura la vittoria dianzi ripor-


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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