Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      Ma perchè Carlo d'Angiò per la indole sua e per la potenza che esercitava in tutta la penisola poteva riescire di maggiore ostacolo alle voglie del pontefice, questi pose ogni studio a fermarlo nella intrapresa via. E' fu detto a que'tempi e ridetto da posteriori storici che papa Niccolò intendeva partire in quattro regni quello aggregato di Stati che allora dicevasi impero romano ; un regno di Germania reso ereditario nella casa di Absburgo ; uno di Vienna composto del Delfinato e d'una parte della Borgogna ; uno di Toscana, e il quarto di Lombardia, de' quali dovevano essere re due suoi nepoti. Si disse che anche in questo disfacimento e creazione di Stati il papa procedesse d'accordo con Rodolfo; imperciocché le condizioni dello impero, per la cessata lotta delle due supreme potestà, erano cangiate, e ai re di Germania tornava più utile raffermare e rendere ereditaria la propria sovranità oltre le Alpi, che consumare le forze a sottomettere gl'italici comuni, i quali in un secolo e mezzo di moti politici erano divenuti maravigliosamente forti ed opulenti. E' sembra certo che nella mente di Rodolfo non fosse, rispetto allo impero, il concetto che ne avevano avuto i sovrani della Casa d'Hohenstauffen ; e che egli fosse pago della dignità, la quale i popoli estimavano suprema nel mondo, e non agognasse a dominare direttamente sopra la Italia. All' incontro Carlo voleva farsene assoluto sovrano, ed ove gli fosse ciò riescilo, la Chiesa sarebbe rimasta, senza sforzo né scandalo, spodestata del dominio temporale. A prostrare Carlo, adunque, a renderlo, quale egli era in origine, vassallo della Chiesa, papa Niccolò rivolse
      10 ingegno. Ma il negozio era sì grave che a bene condurlo richiedeva arte ed astuzia sottilissima.
      Carlo temeva forte la venuta di Rodolfo. Niccolò gli promise proteggerlo e difenderlo. Ma perchè il tedesco venisse da re pacifico, e non avesse il più lieve pretesto di osteggiare
      11 re di Napoli, era mestieri che costui innanzi tutto deponesse l'autorità di vicario imperiale. Carlo obbedì. Nel tempo stesso Niccolò fece una costituzione, che ordinava come nessun re o altri di schiatta regia potesse per lo avvenire essere insignito della dignità senatoria in Roma. E Carlo piegò la fronte, e cessò d'essere senatore. Forse il pontefice non s'aspettava


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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