Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO SESTO.
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      nazione di Costantino e le altre concessioni dei susseguenti imperatori d'Occidente, diceva essere sue, elesse suo fratello Bertoldo a Conte di Romagna ; dove lo spedì con una schiera di strenui uomini d'arme e col cardinale Latino. Era costui nato da una sorella del papa, maritata ad un Brancaleoni; aveva da giovanetto vestito l'abito de'frati Predicatori, era di sottile ingegno, ornato e copioso favellatore, e godeva fama di virtuoso. Il pontefice accorgendosi che col favorire parte guèlfa, come era stata sostenuta da'suoi antecessori, non avrebbe potuto domare Carlo d'Angiò ch'era per tutta Italia considerato come il naturale difensore de' guelfi, fece pensiero di spegnere in tutte le città, e massimamente in Toscana e in Romagna, le pubbliche discordie e le private. Vedeva inoltre come tenendo depressi ed esuli i ghibellini, non avrebbe potuto pienamente conseguire il suo fine ; per ciò accoglieva le doglianze loro, e prometteva loro giustizia, ritorno alla patria, e restituzione degli averi. Mandò dunque il cardinale Latino coli' ufficio d'universale paciere. Ei procedeva col conte Bertoldo, e dovunque arrivava, togliendo occasione di fare riconoscere l'autorità del pontefice e quella del conte, predicava fervorosamente la pace. La Romagna era allora più che mai sconvolta dalle fazioni de' Geremei e de' Lambertazzi. Dopo che costoro furono cacciati da Bologna, si videro i Comuni minori sconvolgersi e parteggiare, quale per gli uni e quale per gli altri. In Faenza esortò alla pace i Lambertazzi, in Imola i Geremei. Come giunse in Bologna fece a' guelfi vincitori noto lo intendimento del pontefice, e disse senza andirivieni essere necessario che gli esuli venissero richiamati in patria, e cessasse una ingiustizia che era di tanta infamia al Comune. I demagoghi si opponevano ; il popolo ondeggiava ; il legato non desisteva, sperando con l'ingegno e l'arte far prevalere la ragione.
      XXXVI. In quel tempo i principali guelfi di Firenze, che il popolo minuto chiamava grandi, ingrassati de' beni dei banditi, cominciarono a riottare fra loro.1 Gli Adimari da una parte, e dall'altra i Tosinghi, i Donati e i Pazzi avevano tale briga che la città, parteggiando o per questi o per quelli, era
      ' Villani, lib. VII, cnp 56.


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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