Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO SESTO.
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      La notte stessa il popolo ancora lordo di sangue, grida il reggimento a comune sotto la protezione della Chiesa di Roma, crea i magistrati popolari, e in trionfo della conseguita libertà inalza il patrio vessillo, nel quale insieme con l'aquila palermitana erano dipinte le chiavi di San Pietro.
      XXXIX. GÌ' insorti di Palermo, appena spuntata l'alba del nuovo dì, uscirono a dar la caccia al fuggitivo Giustiziere. S'era ridotto al castello di Vicari, che sorge a trenta miglia dalla metropoli. Vi si era afforzato chiamandovi tutti i Francesi delle terre vicine. Vi giungono i Palermitani. Propongono patti di resa. Li ricusa sdegnosamente Giovanni di San Remigio; ma allorquando, accortosi di non potere lungamente durare, li chiese, non furono dal furente popolo consentiti ; e morto il capitano, di tutto il presidio di Vicari fu fatto spietato macello. Fra tanta ferocia non mancò qualche raro esempio di popolare moderazione. A Guglielmo Porcelet, signore di Calatafimi, e a'suoi famigliari non solo non fu torto un capello, ma come colui che giusto ed umano s'era mostrato fra la universale ingiustizia ed inumanità de' suoi concittadini, fu dato sicuro imbarco perchè uscisse dall' isola.
      Rapida come baleno la fama del gran fatto corse per tutta Sicilia. Prima la città di Corleone imitò lo esempio di Palermo, e mandò oratori a formare una lega che da' magistrati delle due città, annuente il popolo e in sua presenza, fu giurata. In pochi giorni un parlamento di sindachi fu ragu-nato nella metropoli del regno, i rappresentanti delle varie popolazioni giurarono unanimi di morire anzi che tornare sotto la schiavitù francese — e deliberarono di reggersi a comune sotto la tutela della Chiesa. Ma perchè l'isola non era ancora tutta sgombra dagli stranieri, i magistrati di Palermo raccolsero gran numero d'armati, e partitili in tre schiere, una mandarono nel paese occidentale, nell'orientale l'altra, la terza nelle contrade interiori dell' isola. I Francesi, i quali avevano avuta la ventura di campare alla strage che ogni dì andavasi rinnovando in ogni luogo, eransi ridotti a Messina. Quivi reggeva Eriberto d'Orleans ; quivi non pochi nobili messinesi aderivano alla dominazione angioina; quivi soprattutto era massima parte delle forze apparecchiate da Carlo


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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