Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      UBHO SESTO.
      rettori forte lo temevano, nè osavano per qual si fosse umano riguardo deviare dal sentiero della rettitudine. I maggiorenti odiavano la virtù sua; il popolo svisceratamente lo amava, come padre lo venerava, e pronto accorreva ad ogni suo cenno. In pubblico parlamento adunque mostrò i mali tutti che affliggevano il Comune nascere principalmente dalla oltra-cotanza de'nobili, i quali tuttodì oltraggiavano le leggi, riluttavano controia santità de'tribunali, commettevano d'ogni generazione maleficii. Favellò della connivenza dei popolani grassi, i quali imparentati coi grandi, o con essi altramente collegati, li piaggiavano e sovente lasciavano impuniti. Denunziò l'avarizia de' rettori, le baratterie, lo sperpero de'beni del Comune. Disse essere ormai tempo di porre argine a tanto torrente perchè traripando non travolgesse nel suo impeto la bella città; il male doversi curare nella radice; essere necessario rifare il reggimento e locarlo sopra rigorosissime leggi, e per renderle efficaci e temute instituire legioni di cittadini armati sempre pronti ad accorrere alla chiamata del magistrato.
      Persuaso da ragioni cotanto manifeste il popolo creò una balìa perchè riformasse gli statuti del Comune. E innanzi tutto ad infrenare vigorosamente i nobili, che chiamavansi magnati, compilarono gli Ordinamenti della Giustizia, famosa scrittura che va considerata come precipuo fondamento del fiorentino statuto municipale. La moderna civiltà li fa reputare ingiusti e tiranneschi, non ostante che le condizioni dei tempi li rendessero necessarii. Cosa senza esempio in tutte le storie del mondo, la qualità di magnate venne giudicata come incapacità ai pubblici ufficii; il nome di grande ovvero di nobile fu marchio d'infamia; il nobile non fu nè anco posto al pari del volgo, ma divenne un essere solingo, un fuor d'opera nel consorzio civile nel quale egli nasceva, viveva e moriva.
      Per essere tollerato fra la cittadinanza gli era necessario sodare o mallevare per sè e per i suoi consorti; era tenuto a rispondere delle proprie azioni non solo, ma delle altrui. Così nel comune fiorentino stabilivasi la più pura democrazia che si conosca, la vera comunione dei diritti, l'abolizione del privilegio, la uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge,


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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