Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBItO SETTIMO.
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      forte tanto da mantenerla, il crescere e il propagarsi della civiltà in Italia rende immagine del mito dell' antica Minerva che a un tratto esce adulta e veneranda dal cervello di Giove. Imperciocché, considerando i molti e vigorosi elementi disgregatori che esistevano nel medio evo, e paragonandoli agli sforzi che oggidì fanno i governi a line di renderli inerti nel procedimento del vivere socievole, non abbiamo ammirazione che basti per rimeritare lo studio dei governi dei nostri comuni a infrenare sotto il giogo delle leggi tanta esuberanza di vita. Ai dì nostri in una città che abbia dieci volte maggiore la popolazione che non avessero le più popolose terre d' allora, un numero dieci volte minore di lavoranti — vocabolo che nè più nè meno risponde a quello di proletario—dà assai più pensiero agli odierni uomini di Stato che non ne desse alle irrequiete democrazie dei comuni lo immenso numero degl' individui i quali altro patrimonio non avevano che i cervelli e le braccia loro. Il desiderio di conquistare la comunione dei diritti e l'abolizione del privilegio, e la poderosa resistenza de' privilegiati per non lasciarsi rapire ciò che essi reputavano legittima possessione, aveva persuasi i popoli a congiungersi in una scambievole malleveria, formante una specie di fratellanza, la quale, stringente il pericolo, faceva tacere ogni privata passione. I cittadini eransi divisi in compagnie, ciascuna delle quali comprendeva tutti gl'individui aventi comunanza d'interessi o di mestiere, e perciò dice-vansi Arti. Ciascuna arte era retta da un magistrato speciale che invigilava la condotta de'suoi sottoposti, e in certa guisa ne rispondeva dinanzi al supremo reggimento del Comune. In cosiffatto modo i cittadini erano ordinati a guisa di legioni militari, e il governo gli muoveva con l'ordine con cui un capitano conduce un numerosissimo esercito. Parrebbe che, sottoponendosi i cittadini a cotesto giogo, ne dovesse rimanere lesa la loro libertà individuale non solo, ma ben anche quella dello ingegno. Ch'essi per mantenere la pubblica libertà rinunziassero in parte al diritto di operare illimitatamente secondo le voglie loro, era pur troppo necessario: avvegnaché, sebbene s'intenda astrattamente, non sia concepibile nel fatto lo esercizio d'una libertà senza confini, e in-
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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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