Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
unno settimo.
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città o setta si fossero, detestavano egualmente i due capi del inondo cristiano. Era spento lo spirito che gli aveva animati allorquando nel propugnare la causa dell'uno o dell'altro, avevano preso i nomi di Guelfo o di Ghibellino ; e nulladi-meno seguitavano, come suole spesso accadere, a portare tali nomi, e portarongli per lungo tempo di poi, ma non erano più segnacolo in vessillo ai rivolgimenti futuri, come manifestamente lo provarono le cose poco dopo seguite per la discesa di Giovanni re di Boemia.
Verso la fine del 1330 Giovanni di Boemia andò a Trento per celebrare le nozze di suo figlio Carlo con la erede del duca di Carinzia e del Tirolo. Mentre quivi soggiornava gli si appresentarono i legati de' Bresciani offrendogli la signoria della città loro, oramai stanchi di sopportare la tirannide del re Roberto e del Cardinale del Poggetto alla cui protezione si erano a vicenda affidati; e anche più stanchi delle vessazioni onde col soccorso dei principi lombardi i fuorusciti gli molestavano. Giovanni accolse di gran cuore la profferta, e il dì 31 dicembre dello stesso anno giunse in Brescia. Egli era uno di quegli uomini dei quali la presenza non iscema ma accresce la fama. Liberale, magnifico, prode, valoroso a guisa d'uno de' cavalieri che veggiamo dipinti dai poeti nei romanzi, bene affetto a tutte le fazioni sopra le quali esercitava un predominio tale da ammansarle nel bollore massimo dell' ira e quasi per magica virtù rappacificarle. Lo amava Lodovico il Bavaro come quello che gli era debitore della vittoria di Muhldorf; non era inviso al papa, e grandemente stimato ed ammirato in corte di Francia. Come egli, adunque, si trovò fra mezzo ai Bresciani, favellò al popolo con belle ed ornate parole, rese la patria agii esuli, fece le più liete promesse, pose la fidanza nel cuore di tutti i cittadini che credevano dopo tanto tempo ridiscese sopra di loro la pace e la letizia.
L'esempio di Brescia seguirono i Bergamaschi, i Cremonesi, e quei di Pavia, Novara e Vercelli; i signori, e perfino Azzo Visconti, succeduto a Galeazzo, senza dargli in mano lo Stato, in argomento di onoranza, assunsero il nome di vicarii imperiali. Il gran re dovunque apportava la gioia; detestava i nomi eh' erano segno alle perpetue guerre in Ita-
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