Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
      a ciascuno un frate francescano perchè lo esortasse a morire cristianamente. Ma quando il popolo accorse a vedere lo spettacolo della esecuzione, Cola favellò supplicandolo a concedere perdono ai colpevoli; i quali con tutta umiltà riceverono la grazia. Ed era anco questa una stranissima scena della speciosa commedia eh' egli rappresentava.
      Ma il pericolo che i nobili corsero, sebbene si accorgessero che Cola con quella simulata scena non voleva ucciderli, li fece rinsavire. Deposero gli odii, dimenticarono gli antichi rancori, e giurarono di liberarsi del tribuno. Le ostilità erano incominciate quando arrivò in Roma Bertrando di Deux che Clemente spediva con 1' ufficio di legato; il quale quantunque fosse ricevuto da Cola con proteste di riverenza verso la Chiesa e il suo capo, scagliò contro il tribuno l'interdetto, e lo gridò eretico e traditore della Chiesa. I nobili che già si erano afforzati nelle terre e nei castelli circostanti a Roma, ed erano più volte venuti alle mani col tribuno, ripreso animo per la venuta del legato pontificio, fecero lega col conte di Minorbino, che con una masnada di facinorosi infestava la città. Cola, mentre muoveva con una compagnia di cavalli ad assaltare il Conte asserragliatosi nei palazzi dei Colonnesi, fece suonare le campane a stormo; ma il popolo accorse in poco numero e senza armi non avendo voglia di difendere colui che, sotto pretesto di rifare il buono stato, per mantenere un pompa più che regia aveva oppressi i cittadini con istraordinarie e non tollerabili gravezze. Il misero tribuno adoprò tutte le arti sue per commuovere gli astanti, i quali lacrimavano con essolui, ma non si muovevano a difenderlo : onde egli disperando d'ogni altro espediente, dopo avere per pochi mesi sostenuto quella strana figura, a mezzo dicembre 1317 depose l'ufficio e si salvò rinchiudendosi in Castello Santo Angiolo.
      XXVI. Un mese dopo fuggì da Roma ed andò in Ungheria per chiedere asilo a Carlo IV, il quale non avendo nessuna dello cavalleresche virtù dell' avo e del padre, perfidamente, dopo averlo tenuto nelle carceri di Praga, lo mandò al papa in Avignone.
      Quivi, morto Clemente VI, gli era succeduto Innoccn-


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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