Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO SETTIMO.
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multo di plebe. Lo imperatore allora fattasi confermare l'autorità di riformare lo Stato, elesse una balia di diciotto sindaci popolani e dodici nobili preseduta dal suo fratello, arcivescovo di Praga e patriarca d'Aquileia, e dette loro lo incarico di riordinare il Comune.
Sul cadere di marzo andato a Roma, e fattosi incoronare nella Pasqua di Resurrezione, il dì 19 aprile tornò a Siena e vi trovò ancora tutto il fervore del rivolgimento. La balìa, istigante il popolo, che andava sempre inferocendo contro i Nove, instituì una signoria di dodici popolani, ma serbò la medesima forma di governo oligarchico, così che divisando di riformare tutto, non riformò nulla. Carlo a capo dello Stato pose lo arcivescovo suo fratello, e si partì per Pisa.
L'arcivescovo intanto, alloggiatosi nel pubblico palazzo, aveva confinati i dodici del governo in una privata abitazione, e dava segni di volere reggere dispoticamente lo Stato; per lo che lo indignato popolo si pose in iscompiglio, assediò lo arcivescovo, lo costrinse ad arrendersi, e a rinunciare con atto pubblico nel generale consiglio alla sua potestà, e non lo rimandò libero se non cedendo alle preghiere dell' imperatore, il quale prometteva di non intromettersi mai più nelle cose del loro Comune.
Nè la fortuna gli si mostrava di migliore aspetto in Pisa. Quivi, sollecitato dai Lucchesi, egli aveva mostrato il desiderio di sottrarre Lucca alla dominazione de' Pisani; onde ne seguì una sollevazione popolare in ambi i Comuni, che finì coli' aggravare più peso il giogo de' Pisani sopra i miseri Lucchesi. Lo imperatore, che dandosi poco pensiero de'popoli, ai quali di leggieri prometteva aiuto e protezione, ad altro non badava che ad accumulare danari, condottosi in Pietra-santa, e riscosso il resto della somma promessagli dai Fiorentini e di certe imposizioni con che aveva gravati i Pisani per preteso rifacimento di danni, traversò la Lombardia senza che i signori di quelle contrade, e in ispecie i Visconti, si degnassero onorarlo, e nel maggio del 1355 tornossene in Germania dopo d'avere distrutti gli ultimi vestigi della riverenza che gì' Italiani sentivano ancora non per lo imperatore, ma per la dignità imperiale.
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