Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      deva quella dei Dodici: entrambe erano esose al popolo e ai nobili, coi quali adesso contro la fazione dominante era congiunta quella del Monte dei Nove. Gli oppressi fecero congiura d'insorgere contro il reggimento. 1 nobili fingendo di riaccendere le loro antiche gare de'Guelfi e dei Ghibellini, raunarono i loro vassalli e si apparecchiavano ad una lotta. La signoria godeva che i suoi più temuti nemici agognassero a spegnersi e lasciavali fare, anzi promettendo a ciascuna fazione il proprio favore, la concitava contro l'avversa. 112 di settembre del 1368 scoppiò una insurrezione; gli armati ch'erano pronti a combattersi si congiunsero col popolo e inaspettatamente assaltarono il palazzo dei Dodici, e li costrinsero a deporre l'ufficio.
      Fu riordinato il governo secondo 1' intendimento dei nobili, ma il popolo non ne fu satisfatto; il concitamento era grande ed universale: onde è che le parti si volsero a Carlo perchè facesse da arbitro nelle loro domestiche contese. Lo imperatore, che l'avarizia rendeva immemore delle umiliazioni sofferte in Siena nella sua prima venuta fra noi, accettò di gran cuore lo invito e vi mandò vicario imperiale con una schiera di ottocento cavalli un Malatesta de' signori di Rimini, al quale per tradimento di uno dei cinque consoli creati nel primo trionfo della rivoluzione, fu aperta una porta: onde egli contro il volere dei nobili che imponevano condizioni, e che gli fecero strenua resistenza, entrò nella città, mentre i nobili ne uscivano per ritirarsi ne' proprii castelli.
      11 popolo allora pose mente a riformare il Comune. La balìa a ciò deputata creò un reggimento composto di dodici magistrati, e perchè rappresentassero le varie fazioni della cittadinanza deliberò che tre si prendessero dal Monte dei Nove, quattro' da quello dei dodici, e cinque dal nuovo Monte pur allora creato e detto dei Riformatori. Per i nobili non fu luogo, imperocché era massima comune in tutte le democrazie, le quali allora sopravvivevano alla cadente libertà popolare, che fossero più o meno tollerati nel civile consorzio ma sempre esclusi dagli ufficii.
      XXXIV. Carlo, da Lucca minacciava Firenze, non per rendersela obbediente ma per atterrirla e indurla a redimersi con qualche somma di danaro. Ma i mercanti fiorentini nelle cuiStoria dei Comuni italiani.—2. 18


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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