Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO OTTAVO.
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ricordato la naturale alleanza che dovrebbe sempre esistere tra i popoli liberi, dimostrò quale era stata la politica dei Visconti, cioè la voglia di usurpare a danno di tutti gli Stati Italiani e dominare tutta la penisola. Disse i Fiorentini deplorare di non essersi opposti in sulle prime alle prave intenzioni del duca, ma non per questo le cose trovarsi a tale estremità ridotte da non esservi più difesa; i suoi concittadini avere date tutte le loro ricchezze per sostenere la guerra; avere speso la enorme somma di due milioni di fiorini d'oro ed essere parati a dare fin l'ultimo soldo. Concluse dimostrando che la caduta di Firenze sarebbe stata il principio della rovina di Venezia. L' ambasciatore milanese, poscia che' il fiorentino ebbe finito di favellare, si studiò di scolpare il suo signore degli addebiti che i suoi nemici gli apponevano; negò che egli fosse il motore delle ostilità; ed esortò i Veneziani a volere essere buoni vicini serbando quella pace che il duca non aveva il più lieve intendimento di rompere. Queste parole resero esitanti gli uditori che s'erano già commossi alla fervida orazione di Lorenzo Ridolfi, ma all'udienza era stato ammesso un altro personaggio che si alzò ultimo a tuonare contro Filippo Maria Visconti e far traboccare la bilancia.
XIII. Il duca di Milano, insospettito del valore, del senno e della opulenza di Francesco Carmagnola, dopo lunghi anni di fedeli servigi, gli aveva tolta la grazia sua, privandolo perfino del comando d' una compagnia di trecento cavalli e del governo di Genova. Invano il Carmagnola tentò di essere ammesso al cospetto del duca: onde fece pensiero di partirsi e fargli caro costare tanta ingratitudine. Appresentatosi ad Amedeo di Savoia, e palesatigli i disegni che contro i suoi stati nutriva il Visconti, traversando la Svizzera co' suoi cavalieri nel febbrajo del U25 giunse a Venezia, dove si pose al soldo della repubblica. Filippo Maria non solo gli confiscò gli averi, ma pose in carcere la moglie e le figliuole di lui credendo con questo mezzo atterrirlo e svolgerlo da ogni pensiero di vendetta.
Allorquando gli ambasciatori di Firenze e di Milano furono ammessi dinanzi al consiglio, il Carmagnola vi fu invitato, e come quelli ebbero finito di dire, cominciò il prode ca-
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