Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
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STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
potente; e però, fatto un accordo, per virtù del quale i Lucchesi cedevano a Firenze Montecarlo e Pietrasanta, poco dopo lo ruppero e ricominciarono la guerra, appena Francesco Sforza, ricusando di porsi al soldo loro, ebbe varcati i confini della Toscana per andarne altrove.
Il duca di Milano sollecitò i Genovesi e per indurre i Fiorentini a levare l'assedio per virtù di un certo trattato tra Lucca e Genova. I Fiorentini ricusarono, e i Genovesi assoldarono Niccolò Piccinino. Il quale condusse la sua compagnia sulle rive del Serchio, e facendo impeto nello esercito fiorentino, lo sgominò e prese loro salrnerie, munizioni e quattromila cavalli. E se non fosse stato richiamato dal duca avrebbe tolto loro anco la città di Pisa, la quale agitavasi ed era pronta ad insorgere. Grande fu per questa sciagura lo sbigottimento in Firenze. Se non che la sorte battendola da una parie sembrava la carezzasse da un'altra. Nel febbraio del 1431 moriva papa Martino V, che s'era sempre mostrato implacabile contro i Fiorentini, e gli succedeva Eugenio IV veneziano. Il nuovo papa parve inteso a disfare il già fatto dal suo predecessore e a tenere diverso cammino nelle cose d'Italia, mostrandosi amico de' liberi Comuni contro il tiranno lombardo.
XVIII. Nei Veneziani infrattanto era nata, e andava sempre crescendo, 1' ambizione di estendere i loro dominii in terraferma, onde non abborrivana dal seguire lo esempio di quello stesso principe eh' essi chiamavano perfido. Sebbene il duca di Milano non avesse loro dato giusta cagione di nuova guerra, i Fiorentini non restavano dal sollecitarli a ricominciare le ostilità offrendosi ognora pronti a riconoscere e difendere le conquiste che i Veneti sarebbero per fare nell' alta Italia. Alla rinnovata lega aderirono il marchese di Monferrato e Rinaldo Pallavicino, il marchese d' Este e il Gonzaga di Mantova. Dall'altro canto col duca cransi collegate Genova, Siena e Lucca, oltreché egli aveva per comandanti delle armi sue i due più grandi capitani di quei temiti, Niccolò Piccinino e Francesco Sforza, e per rendersi maggiormente bene affetto questo formidabile uomo gli aveva promessa la mano di Bianca, allora fanciulla di sette annijj sua figlia naturale.
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