Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
'294
STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
repubblica. 11 suo doge Francesco Foscari era oltre misura ambizioso d'illustrare il suo regno con fatti strepitosi e nuove conquiste. Col suo grande ingegno, con la sua indefessa operosità governava a suo talento il senato e lo spingeva alle più dispendiose e perigliose intraprese con maggiore ostinazione che non facessero i Fiorentini. I quali ad altro non aspiravano che a ridurre tutta Toscana sotto il loro imperio, non per isfrenata voglia di conquista, ma perché pensavano non vi essere altro rimedio se non quello di rendere vasto e forte lo Stato per serbarlo libero. Per altro da alcuni anni avevano disimparato a temere Filippo Maria Visconti; e adesso vedendo con soddisfazione che i suoi stati si dissolvevano, poco cura-vansi se Milano fosse rinata a libertà o se diventasse preda di qualche piccolo usurpatore, purché non cadesse in potestà dei Veneziani. Ed era insano consiglio; ma più presto che ad alcun uomo è mestieri darne la colpa ai tempi, imperciocché non capiva nella mente degli statisti d'allora quella idea vera di nazionalità che oggidì sembra agitare tutti i popoli inciviliti del mondo; non intendevano ciò che ai dì nostri parrebbe verità da non ammettere dubbio o discussione, cioè che una grande repubblica risorta dalle rovine della casa Visconti, e collcgata con vincolo federale alle potenti repubbliche di Venezia e di Firenze, avrebbe salvata per sempre la penisola dalle posteriori irruzioni degli stranieri.
Adunque, mentre il duca d'Orleans e il re di Napoli minacciavano Milano, e gli altri minori principi producevano pretensioni sopra questa o quella parte della eredità dei Visconti, la repubblica di Venezia che era in armi fece ai suoi capitani comandamento di occupare quanto più potessero del territorio appartenuto ai Visconti; e non ostante che il nuovo papa — dacché parecchi mesi innanzi, morto Eugenio IV, gli era succeduto Niccolò V — si fosse sforzato di comporre la pace, e gli ambasciatori delle potenze belligeranti fossero tutti al luogo di convegno, senz' altra dichiarazione ruppe le pratiche e continuò la guerra.
XXV. Ai capi della repubblica milanese non erano ignoti i disegni dello Sforza, e nel tempo medesimo vedevano di quanto pericolo egli fosse dichiarandosi loro nemico o con-
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