Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO OTTAVO.
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giungendosi con alcuno di coloro che pretendevano alla eredità del defunto duca. Le città che questi aveva strette, dirò così, in un fascio, aggiogandole sotto la sua dominazione, alla nuova de'commovimenti di Milano si commossero. Le gare, le invidie, le emulazioni, i rancori degli antichi Comuni a un tratto destaronsi; ciascuna, salvo poche che dichiararono voler rimanere congiunte alla metropoli, gridarono la propria indipendenza; la forza di quello che era dianzi reputato il più potente Stato della Italia superiore, fu disciolta in un momento e quasi annientata. Per le quali cagioni quei del reggimento mandarono ambasciatori a Francesco Sforza esortandolo a mantenere il trattato testé concluso col suocero, offrendosi pronti a fornirgli le paghe agli stessi patti. E perchè forse il prode capitano esitava, alle cose offerte aggiunsero la libera signoria di Brescia o di Verona quante volte a lui venisse fatto ritorle ai Veneziani. Accettò le proposte lo Sforza, le quali gli parvero un bel principio al compimento delle sue arcane intenzioni; e quindi tostamente mosse le armi contro gì' inimici studiandosi a un tempo di riacquistare le città e le castella' che erano state parte del ducato milanese. Da quel destro politico che egli era gli riuscì di rapire ai Veneziani i migliori condottieri e fra gli altri i due figli di Niccolò Piccinino, non ostante che all' uno di essi la veneta repubblica avesse offerta la signoria di Cremona, e all' altro quella di Crema. Lo Sforza ebbe lo ingegno di far tacere le gelosie delle due scuole militari, e congiuntele in un solo esercito, muovere con poderosissime forze contro le milizie veneziane che trovavansi sparse in varii luoghi.
In sul principio fu grande concordia tra il gran capitano e la repubblica eh' egli faceva sembiante di servire; ma quando i Pavesi gli diedero la signoria del loro Comune col titolo di conte di Pavia, a patto che ne confermasse gli antichi privilegi e statuti, i Milanesi frapposero ostacoli alla conclusione del trattato, rammentando allo Sforza la fede data di serbare alla repubblica tutti gli Stati già posseduti dal duca. Ma Francesco non era uomo da curarsi di siffatte rimostranze, e con ragioni che avevano tutta 1' apparenza del vero, acchetò i Milanesi, ai quali, tementi di peg-
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