Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO OTTAVO.
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ronsi con Alfonso di Napoli e col duca di Savoja. Ma sorsero due gravissimi ostacoli che li costrinsero a sobbarcarsi alla fortuna. Mentre i Fiorentini, per volontà di Cosimo dei Medici riconoscevano la novella signoria dello Sforza e facevano lega con lui, Costantinopoli nel maggio del 1453 era caduta nelle mani dei Turchi. Questa infausta nuova atterrì il mondo cristiano. Da per tutto prodicavasi la paco per far fronte ai nuovi barbari che minacciavano anche l'Occidente. La guerra tra' Veneziani e il duca si spense nello immenso disastro dello impero orientale. La pace fu fatta in Lodi nella primavera del 1454. Lo Sforza venne riconosciuto duca di Milano e di tutte le città appartenenti a Filippo Maria, tranne Bergamo e Brescia, ch'egli lasciò alla veneta repubblica.
XXVII. Precipuo promotore della pace fra gl'italici potentati era stato il pontefice Niccolò V. Questo uomo, che aveva gran nome fra gli eruditi del secolo decimoquinto, appena fu inalzato senza ambirlo e senza nè anche supporlo, al seggio papale, mostrò indole affatto diversa da quella del suo predecessore. Senza variare le sue abitudini, letterato fra mezzo ai letterati, si diede a proteggere le arti liberali con un ardore, con una perseveranza di che non s' era mai visto nei precedenti secoli altro esempio. Ma cresciuto fra i cortigiani di Cosimo de' Medici col mestiere di pedagogo e di amanuense, come non aveva ombra di principesca ambizione, così non aveva nel cuore il minimo sentimento del vivere libero. E però considerò le sublimi aspirazioni de' cittadini alla libertà come delitto degno d' essere severamente punito.
Fra i più cospicui personaggi romani primeggiava Stefano Porcari. Nei pochi giorni d'interregno, mentre i Cardinali stavano rinchiusi in conclave, ragunò nella chiesa d'Araceli il consiglio della città di Boma affine di rivendicare i privilegi e i diritti dal popolo fino da tempo immemorabile esercitati, e durante la stanza dei papi in Avignone e lo scisma accresciuti, ma da Eugenio IV superbamente contesi. Stefano favellò con sensi di un Romano de' tempi dell' antica repubblica, sì che dallo arcivescovo di Benevento, il quale presedeva all'assemblea, fu fatto tacere, e poi fu denunziato al nuovo papa.
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