Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      '310
      STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
      orecchie del duca di Milano, il quale sapeva bene che i principi francesi vantavano sul Milanese i diritti di Valentina Visconti, e per allora non osò cacciare gli stranieri oltre le Alpi, ma fece pensiero di gratificarsi il re e indurlo a cedergli per trattato la desiderata preda. Di fatti nel 146i Luigi, per riacquistare 1' amicizia dello Sforza — il quale nelle guerre del regno di Napoli, si era mantenuto fido a Ferdinando figlio naturale d'Alfonso — gli consegnò Savona trasmettendogli insieme i suoi diritti sopra Genova. Genova adunque poteva considerarsi come preda serbata al duca di Milano.
      11 doge sebbene non avesse potuto impedire le spesse sedizioni che dopo la cacciata dei Francesi afflissero la città, aveva con la dolcezza dell' indole sua, con lo amore della giustizia, cooperato a ristabilire la pubblica quiete: ma era impedito a ciò fare dal facinoroso Paolo Fregoso, il quale nel maggio del 14G2 assaltò il palazzo, ne scacciò il cugino e si fece gridar doge. Il popolo sdcgnossi vedendo un prete usurpare la suprema autorità e turbare la pace cittadina, e minacciandolo lo indusse a deporre 1' ufficio per ridarlo a Luigi Fregoso. Se non che in meno d'un anno Paolo di nuovo strappò con la forza, di capo al cugino, la corona ducale; e perchè adesso voleva tenersela davvero, si munì d'una dispensa dalle censure che i canoni minacciano contro i sacerdoti esercenti ufficii civili e militari; e il papa, che era il famoso Pio II de' Piecolomini, allora percosso dalla frenesia di ripristinare le antiche crociate, scandalosamente gliela concesse.
      Allora il doge arcivescovo, credendosi sicuro sul seggio, non ebbe più freno alle infernali passioni che gli bollivano nell'anima. Genova non pati mai tirannide più cruenta e più turpe di quella di Paolo Fregoso. Tacquero ne' cittadini gli antichi odii, le non mai spente gelosie, non v'erano più fazioni; ma il terrore aveva percossi gli animi di tutti; e invece di correre alle armi, chi poteva, abbandonava la città per vivere tranquillo e ignorato nelle campagne. Era giunto il momento con bramosia aspettato da Francesco Sforza, il quale appena ebbe la nuova che le città del genovesato avevano inalzato il vessillo sforzesco, collegatosi coi più cospicui


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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