Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO OTTAVO.
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      capi de' due partiti, e perfino col più fido ministro di Paolo Fregoso, mosse un formidabile esercito alla volta di Genova. Lo arcivescovo non aveva forze da resistere; nondimeno non era disposto a rinunciare alla sovranità, e però rifiutando i patti offertigli dal duca di Milano, si appigliò ad un singolare espediente. Deputò Pandolfo suo fratello, e la vedova del doge Pietro altro fratello, a difendere la fortezza del castello, ed egli con una turba di masnadieri suoi prediletti, salì sopra quattro navi e si gettò in mare per esercitarvi il mestiere di pirata, aspettando che gli eventi lo richiamassero alla patria per riassumere la sua doppia dignità di arcivescovo e di doge.
      La repubblica allora non trovò altro scampo che darsi a Francesco Sforza; e mentre le milizie di lui entravano nella città e impossessavansi dei luoghi forti, spediva ventiquattro deputati a Milano per fargli giuramento di fedeltà agli stessi patti co' quali in altro tempo aveva data la signoria al re di Francia. 1 cittadini in tal modo comperarono la quiete a prezzo della libertà loro; ma non fu di lunga durata, imperocché 1 avversa fortuna gli riserbava ad altre sciagure, ed a provare nuovamente la efferata tirannide del pirata arcivescovo.
      XXXIV. Se dalla repubblica di Genova volgiamo lo sguardo a quella di Firenze, ci si offre uno spettacolo assai diverso, il quale porge manifestissima prova che il puro alito delle libere istituzioni, sieno grandi quanto si voglia i semi del male che in sé possano avere, è potentissimo a fecondare gli Stati. I Fiorentini nelle guerre del regno di Napoli, che erano state cagione potissima delle sciagure dei Genovesi, avevano tenuta diversa condotta. Benché per tradizione propendessero per la casa d'Angiò, e al primo scoppio delle ostilità fossero desiderosi d'immischiarsi nel conflitto con tutte le forze loro, nondimeno furono da tanto errore preservati dal senno di Cosimo de' Medici, che sotto le sembianze di cittadino veniva sempre più governando lo Stato da principe; a lui difatti dirigevansi i potentati intorno alle pubbliche faccende; egli proponeva i provvedimenti dei consigli, e senza attentare alle forme della costituzione e della legge ne dettava le deliberazioni. Divideva con lui il supremo dominio Neri Capponi, sapientissimo uomo di stato non meno che valoroso guerriero : il popolo lo teneva


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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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