Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO OTTAVO.
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      ancora la grandezza dell'animo suo, non gli parere d' avere accresciuto l'imperio fiorentino d'uno acquisto onorevole; e tanto più se ne doleva, quanto gli pareva essere stato da Francesco Sforza ingannato, il quale mentre era conte gli aveva promesso, comunelle si fusse insignorito di Milano, di fare l'impresa di Lucca per i Fiorentini; il che non successe, perchè quel conte con la fortuna mutò pensiero, e diventato duca, volle godersi quello stato con la pace, che si aveva acquistato con la guerra; e perciò non volle nè a Cosimo, nè ad alcuno altro di alcuna impresa sodisfare, nè fece poi che fu duca altre guerre, che quelle che fu per difendersi necessitato. 11 che fu di noia grandissima a Cosimo cagione, parendogli aver durato fatica e speso per far grande un uomo ingrato ed infedele. Parevagli oltra di questo per l'infermità del corpo non potere nelle faccende pubbliche e private porre l'antica diligenza sua, di qualità che l une e l'altre vedeva rovinate; perchè la città era distrutta dai cittadini, e le sustanze dai ministri e dai figliuoli. Tutte queste cose gli fecero passare gli ultimi tempi della sua vita inquieti. Nondimeno morì pieno di gloria, e con grandissimo nome; e nella città e fuori tutti i cittadini e tutti i principi cristiani si dolsero con Piero suo figliuolo della sua morte, e fu con pompa grandissima da tutti i cittadini alla sepoltura accompagnato, e nel tempio di S. Lorenzo seppellito, e per pubblico decreto sopra la sepoltura sua PADRE DELLA PATRIA nominato. Se io scrivendo le cose fatte da Cosimo ho imitato quelli che scrivono le vite dei principi, non quelli che scrivono le universali istorie, non ne prenda alcuno ammirazione; perchè essendo stato uomo raro nella nostra città, io sono stato necessitato eon modo istraordinario lodarlo. »
      XXXV. L'Italia verso quegli anni vedeva sparire dalla scena del mondo, uno dopo l'altro, tutti i suoi grandi uomini. Alfonso d'Aragona re di Napoli, che per la sua lunga stanza nella penisola e per essersi intromesso in tutte le cose politiche che allora gravemente la sconvolgevano, era divenuto italiano, moriva nel giugno del 1458, circa otto mesi dopo che il doge Francesco Foscari cadeva rotto, più che dalla età, da inenarrabili affanni in Venezia. Alfonso morì universal-
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Storia dei comuni italiani
Volume Secondo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1866 pagine 506

   

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