Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO OTTAVO.
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che nel novembre del 1474 Firenze, Venezia e il duca di Milano conclusero una lega per venticinque anni, e v' invitarono — o ne fecero le viste — il papa e il re di Napoli, i quali non vollero vincolarsi, ma promisero di non essere ostili alla lega. Ed era vicendevole simulazione; imperocché cotesta lega fu la cagione potissima la quale espose prima i Medici e poi la repubblica di Firenze a grandissimo pericolo. Ma innanzi che ne facciamo il racconto è mestieri volgere lo sguardo a Milano dove la immane tirannide di Galeazzo Sforza spingeva gli amatori della libertà ad arrotare i pugnali.
XLII. Genova, come sopra fu detto, era stata conquistata da Francesco Sforza, il quale, conoscendo che quella cittadinanza per quanto fosse perpetuamente turbata dalle fazioni, non aveva siffattamente perdute le vetuste costumanze di libero vivere che fosse agevole signoreggiarla con governo sciolto d'ogni freno, era rimasto pago a tenerla con modi temperati sotto il suo giogo. Francesco che si era riserbato il diritto di mandarvi un governatore con un piccolo presidio, e di riscuotere l'annuo tributo di cinquantamila ducati, aveva giurato di non toccare gli statuti del Comune, di non accrescere nè il presidio, nè il tributo, nè anche intromettersi nel modo di raccoglierlo sui cittadini, e non edificare nessuna fortezza oltre a quelle che vi aveva trovate. Tali patti furono da lui rigorosamente osservati. Ma Galeazzo suo figlio divisò di fare altrimenti; e mentre la signoria del padre non provocò nessuna insurrezione popolare, quella del figlio parve gravosa sì da non potersi tollerare, e gli amatori della patria libertà altro non aspettavano che il momento propizio per disimpacciarsi di tanta ignominia. Allorquando nel 1471 Galeazzo fece quel viaggio a Firenze a solo fine di far pompa del suo fasto più che regale, nel ritornare a Milano passando per Genova mostrò dispregio pei cittadini a segno di chiudersi nel castello, e dopo tre giorni chetamente partirsene. 11 popolo genovese fremè di sdegno a tanta insana superbia: e da parte sua il duca per maggiormente infrenarlo ebbe l'audacia di contraffare ai patti giurati dal padre, ed apertamente fare apparecchi per ridurre Genova alle condizioni delle'altre città del suo ducato. Al suo governatore ei fece comanda-
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