Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
'364
STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
Vili. Carlo lieto e quasi demente di giubilo, liberamente spadroneggiando in quelle italiche città che oltremonti avevano fama di essere le più vaghe di libertà, dopo d'avere lasciato un suo presidio nella fortezza nuova di Pisa e consegnata ai Pisani la vecchia, avviavasi alla volta di Firenze. Vi entrò trionfalmente, e venne accolto con gran solennità da tutti gli ufficiali e dalla popolazione. Nondimeno ei non era scevro di sospetto, mentre i Fiorentini avevano presi validissimi espedienti a difendersi ove ne nascesse la necessità. Prese stanza nel magnifico palazzo mediceo, dove accolse i commissarii della repubblica, i quali rimasero attoniti allorché egli disse loro che Firenze doveva considerarsi come conquista da lui fatta, e che a lui solo spettava deliberare e profferire sentenza sulle future sorti di quella. Accennò anche alla idea di rimettere in città i Medici non come principi ma come governatori in nome della corona francese. I commissarii risposero: i Fiorentini considerarlo come ospite; avergli dato lo ingresso dentro le loro mura per riverenza ed amistà tra la repubblica ed il reame di Francia ; nulla per loro significare la lancia ch'ei teneva in resta — segno, come diceva Carlo, di un principe che entri in una città conquistata; — non avere reputato convenevole venire a patti: in fine concludevano i Fiorentiui essere fermissimi nel pensiero di non cedere a chi che si fosse un briciolo della libertà loro. Il re conobbe che il negozio era più grave di quello eh' egli in prima avesse supposto; sebbene si sforzasse di serbare altero e imperioso contegno, cominciò a trepidare in cuor suo. Seguitando le pratiche, egli, cui nulla importava de'privilegi e delle libere istituzioni dei Fiorentini, chiese danari; ma quando il suo segretario lesse i capitoli e nominò la pecunia come impreteribile condizione agli accordi, nacque disputa fra i commissarii che non volevano consentirne la somma e* il re che non voleva cedere; finche questi sdegnato e venuto in collera minacciando disse: lo farò dare nelle trombe. Alle quali parole Piero di Gino Capponi, uno de'commissarii, o sindachi, come li chiamano le storie di quei tempi, con la medesima audacia e fermezza d'animo, stracciando la copia de'capitoli che teneva in mano, rispose: e noi faremo dare
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