Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
LIBRO NO.NO.
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tenersi contento lo imperatore, non facendo contro all'ordine dato da lui, imperocché, mancato il duca Alessandro senza eredi legittimi, e Lorenzino resosi indegno di succedergli per avere commesso sì brutto ed orrendo assassinio, la legge di successione chiamava Cosimo figliuolo di Giovanni delle Bande Nere. Aggiunse che gli esuli si sarebbero accomodati al fatto, come quello che non potendo non essere grato al cardinale Sal-viati loro capo non poteva loro rincrescere. Esortò quindi l'onorando consesso ad eleggere quell'insigne giovane capo della repubblica, non col titolo di duca ma con quello di signore, limitandogli l'autorità nel comandare e la libertà nello spendere.
Alle parole del Guicciardini rispose uno de' senatori chiamato Domenico Canigiani, dicendo parergli meglio fatto e più equo mantenere nella successione del principato Giulio figliuolo naturale d'Alessandro come cosa più grata a Cesare. Le parole del Canigiani non trovarono eco nella assemblea, la quale fu grandemente commossa dalla orazione di Palla Rucellai, che con grande animo disse essere somma vergogna pei Fiorentini eleggere a loro signore un fanciullo bastardo ; disapprovò ugualmente la elezione di Cosimo, perocché quantunque avesse fino allora pensato che il governo largo e chiamato libero fosso cattivo per Firenze, adesso avendo provato tutte le dolcezze del principato, ei mutava consiglio, pentivasi e fermamente credeva 1' unica forma di governo convenevole alla felicità del fiorentino popolo essere il reggimento popolare, il quale avanti che i Medici opprimessero le pubbliche libertà aveva resa la repubblica prospera, grande, venerata e felice. Concludeva dicendo che ove non volessero concordare unanimi a rifare libera Firenze, ma volessero eleggere un tiranno, era necessario che a ciò concorressero tutti i più cospicui cittadini , ed anco gli assenti cioè i fuorusciti. Il discorso di Palla Rucellai commosse l'assemblea come quello che conteneva cose vere e innegabili, ma nessuno osava apertamente secondarlo con libere parole atterrito dalle armi di cui era circondato il palazzo e pieno il cortile. Francesco Vettori, levatosi da sedere, minacciò Palla ; ed al Guicciardini che aveva preso a favellare per proporre nuove limitazioni, disse di non perdersi più oltre in ciarle e minuzie; e di leggere la provvisione
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