Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici
Libro nono.
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legge, o eseguendola lo faceva con tale astuzia che il beneficio per la nobiltà nuova tornava pressoché nullo. Finalmente le Cose giunsero a tal punto che taluno non potè tollerare che più oltre durassero, e si provò di conseguire la giustizia usando modi violenti.
LXXIII. Nel 1026 viveva in Genova un ricchissimo mercatante chiamato Giulio Cesare Vacherò. Era uomo di spiriti alteri, di superbo contegno, di ferocissime voglie, sempre circondato di bravi e di lance spezzate, immagine piuttosto di feudatario che di cittadino di repubblica libera e data al traffico. Da gran tempo maturando nell' animo un gran disegno, spargeva danari fra la plebe e proteggeva tutti i facinorosi. Spalleggiato e forse instigato dal duca di Savoia aveva tramata una congiura. Il dì primo d'aprile di quell'anno voleva assaltare il palazzo, gittare giù dalle finestre i senatori, uccidere tutti gì' iscritti nel libro d'oro e farsi acclamare doge dal popolo. Un Pierriontese, che era parte della congiura o che almeno la sapeva, lo denunziò al governo, il quale fece arrestare il Vacherò con altri pochi suoi complici, dacché i più erano fuggili, e gli fece giustiziare non ostante che il duca di Savoia s'interponesse à loro favore minacciando vanamente la Signoria.
LXXIV. Molti anni trascorsero senza che nulla di notevole accadesse in Genova. Nel 1684 seguì un fatto che empì di scandalo tutta la cristianità. Luigi XIV senza altra cagione che quella di punire i Genovesi per avere impedito il contrabbando del sale nel territorio della repubblica, mandò una poderosa flotta che bombardò la città per tre giorni continui e le recò gravissimi danni. Lo ammiraglio francese l'avrebbe ridotta in cenere se il doge avesse ricusato di andare in persona a implorare mercè al re Luigi. La umiliazione del malarrivato uomo destò compassione e sdegno nell' animo di tutti i potentati che cominciavano a tremare non solo della prepotenza ma della sterminata ambizione di quel glorioso tiranno.
E veramente mal si saprebbe concepire la esist enza di uria repubblica, che nella persona del suo primo magistrato cada prostrata ai piedi di un sovrano straniero per chiedergli perdono di un' offesa da lui ricevuta. Ma la stessa nobiltà in Genova era stata corrotta, come quella delle altre parti d'Italia,
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