Storia fiorentina (volume II) di Benedetto Varchi
64 STORIA FIORENTINAche potesse essere che qualche plebeo ( chiamo plebei ancora i patrizi i quali plebeamente o favellano o operano ) dicesse o per isciocchezza o per tristizia su pe' cantoni, che della duchessina si dovesse for quello che scrivono alcuni, il che io abborrisco di nominare, che far si dovesse, cosi affermo che mai da alcuno non fu proposto in pubblico cosi inaudita ed enorme scelleratezza, come scrivono non meno disonestamente che falsamente i medesimi; e se alcuno confessò poi nell'essere esaminalo dallo stato nuovo d' aver ciò proposto, egli per duolo di fune, o d'altri martirii, disse d' aver fallo quello eh' egli fatto non aveva. Fu bene chi disse, ma in privalo e non senza esserne ripreso, che se i nimici davano la batteria alle mura, bisognava legar la duchessina a un merlo.
In questo tempo si scoperse nel campo la peste; e si sparse in un tratto per tutto, non solo che il morbo faceva gran danno agl'Imperiali, ma che il viceré proprio (essendosi egli per sorle ammalato) ayeva il gavocciolo, e di già s' erano preparate stanze per sua eccellenza fuori delle porte di Bologna : onde i Fiorentini avendo maggior paura della pestilenza che della fame, bandirono subitamente» che nessuno, sotto pena di dover perdere la vita, ardisse d' entrare eziandio con vettovaglie dentro alle porte di Firenze; e se la moria durava qualche settimana, com' ella aveva incominciato, non è dubbio che 1' esercito, morendone quaranta, e cinquanta per giorno, bisognava che si risolvesse, o almeno si ritirasse nelle terre circonvicine, il che dava vinta la guerra a' Fiorentini; ma come non s' intese in che modo ella vi entrò, cosi non si seppe in che modo, avendo covato parecchi giorni, se n' uscì, se già la stagione dell' anno, essendo i caldi grandissimi, non la spense ella.
In questo tempo medesimo fu di campo con grandissima diligenza avvisato il papa, che si dovesse aver cura straordinaria, e specialmente in circa la cosa del vino, perchè i Fiorentini cercavano di farlo avvelenare per le mani di messere Stefano Crescenzio suo cameriere segreto, il quale s' era indettato collo scalco e col bottigliere di sua sanlità, e questo aver saputo da un soldato uscito di Firenze, il quale preso da loro eoo due ampolle d' aequa stillata, ed esaminato con tormenti, aveva confessato quello esser veleno datogli da' Fiorentini, acciò lo portasse a Roma nell' osteria della Lepre a uno chiamato il Pavia. Il papa, fatto subitamente disaminare gli accusati diligentissimamente, si scoperse questa essere una novella senza fondamento nessuno , e vi ebbero di quegli che pensavano ciò essere stato non con saputa > ma con ordine di Clemente, per avere cagione d'infamare appresso i principi i Fiorentini; la qual cosa come non fu allora verisimile, così nonv^rOOQle
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