Storia fiorentina (volume II) di Benedetto Varchi
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sempre ed era ancora più die mai amico e fautore della libertà de'Fiorentini, ma che essendo servidore di Cesare non poteva voler di questo, nè d'alcun'altra cosa, se non quello che ne voleva l'imperadore. Dalle quali parole potettero prudentemente immaginarsi que' due la deliberazione di Cesare delle cose di Firenze , e darne avviso ad Antonfrancesco predetto ; per la qual cosa egli di poi in Napoli non si volle mai impacciare troppo delle cose de' fuorusciti ; ma standosi in casa d'Anton da Gagliano in compagnia di messer Pagol del Rosso cavaliere lerosolimi-tano, quando era domandalo diceva il parer suo liberamente senza andar più innanzi, e cercava con ogni diligenza, siccome ei s'era ingegnato sempre, di dimostrarsi il più ch'egli poteva senza passione alcuna, e molto amico degl1 Imperiali, ed in questa maniera acquistarsi credito e riputazione appresso di loro.
Erasi già consumato in questi maneggi la maggior parte della state dell7 anso 1535, quando il cardinale a'due giorni d'agosto di quell'anno, per andare spesse fiale da Uri a Fondi a vedere la signora Giulia Gonzaga , la quale era da lui amata , e ad altri suoi diporti, si cominciò a sentir di mala voglia, e in questa maniera si stette sino a'dì cinque del mese predetto, nel qnal giorno standosi in letto, e portandogli Gio-van' Andrea del Borgo a San Sepolcro, ma nato in Città di Castello, il quale era suo siniscalco, una minestrina bollita in peverada di pollo per desinare, mangiala che l'ebbe, subitamente lacrimando la rimandò, e cominciossi a sentir tutto travaglialo. Per la qual cosa quivi a poco si fece ei chiamare mesàer Bernardino Salviati cavaliere Ierosolimitano e priore di Roma , il quale fu poi cardinale, siccome noi dicemmo di sopra, e gli disse : Io sono stalo avvelenato, ed hammi avvelenato Giovann' Andrea. Messer Bernardino tristo e dolente s'uscì di camera, e conferi quel che 'I cardinale gli aveva detto co' primi e più cari servidori che'l cardinale avesse quivi, i quali insieme seco fecero pigliare il siniscalco , e metterlo al tormento ; dove egli confessò apertissimamente d'avere avvelenato il cardinale in quella pappa, ed aver pesto il veleno tra due sassi, i quali egli aveva poi gittati via, ed insegnò il luogo dove egli gli aveva gettati ; ed essendoli portate da • servidori del cardinale cert'altre pietre raccolte da loro a caso d'altri luoghi, quando le vidde disse che le non eran quelle eh' egli aveva adoperate a pestare il veleno ch'egli aveva dato al cardinale; perchè andando i servidori del cardinale in quel luogo, nel quale egli aveva detto d' aver gettati i sassi sopra detti, gli trovarono e gliele mostrarono, e subitamente eh* egli gli ebbe vedati; disse che quei erano que'sassi de'quali s'era servilo a far l'effetto dr sopra detto. Il cardinale in questo ternpo peggiorava senza modo, e s' andavo consumando a poeo a poco ,
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