Storia fiorentina (volume II) di Benedetto Varchi
LIBBO QUATTORDICESIMO <28J
« Ed in questi modi ed in questa maniera, o Cesare, ne sono state osservate le promesse che duo volle ci sono stale fatte da i tuoi agenti per parte tua, cioè 1' anno 1550 da don Ferrante Gonzaga tuo luogotenente nuli* esercito ch'era sopra Firenze, e Panno 1531, quando pel Musseltola tuo segretario ne facesti intendere che noi dovessimo vivere in quella maniera che noi vivevamo dall' anno 1527 indietro, siccome noi sappiamo che quella si ricorda benissimo, perciocché la benignità e prudenza sua è tale, che la non si sdimentica se non dell' ingiurie che le son fatte , e perciò sa molto bene, che essendo meritamente capo della repubblica cristiana, a lei s'appartiene spegnere lo tirannidi, e provvedere che a niuno sia falla ingiuria , e che niuno o per forza o per inganni occupi quello che è d'altri, o usi violenza ad alcuno, perchè ciascheduno possa vivere sicuramente , e quietamente godere le cose sue; e per la grandezza e felicità in che Dio l'ha meritamente posta, a lei s'appartiene sollevar gli afflitti e quegli che voglion vivere civilmente e ^secondo le leggi, e spegnere i dolenti superbi, i quali con tanto danno de' popoli e delle città vogliono regnare contro al dovere ed alla giustizia. Ma se niuna ciltà, o Cesare , fu mai afflitta e oppressa ingiustamente e crudelmente, è la città di Firenze, siccome tua maestà ha inteso, delle cui miserie io non ho raccontalo una menoma parte, perciocché s'io le volessi raccontar tulle, prima mi mancherebbe il giorno, eh' io te le potessi narrare, ed anche non sarebbe a proposito il dirle, perciocché la pietà e misericordia tua è tale, che da se slessa, senza essere altramente provocata, si muove benignamente a soccorrere gli afflitti e tribolati che ricorrono a lei.
« Proponti pure , o Cesare, nell'animo, poiché cogli occhi veder non puoi, una ciltà, i eui cittadini mesti e lagninosi non abbiano ardire nè anche di dolersi delle loro miserie uno coli' altro, ma abbiano tulli gli occhi vólti verso la giustizia e la grandezza dell'animo tuo, dalle quali solo dopo Dio eglino sperano d'esser tratti delle loro lanle è sì gravi calamità; e che la sentenza la quale tua maestà darà di quella città, abbia a recarle o un' ultima ed estrema rovina, il che Dio loglia , o liberandola dal giogo di sì aspra servitù che la desinigli* una vera salute, e a le un'eterna fama appresso gli uomini tulli, e grazia immortale appresso Dio ottimo e grandissimo, dicendo la Divina Maestà, che di coloro è il regno del Cielo, i quali hanno sete e desiderio della giustizia, e che quei beneficii che si conferiscono a i'meschini e agli afflitti, gli repula conferiti a se slessa, perchè non può P animo tuo pio e cristiano desiderar più bella nè maggiore occasione di questa per dimostrarsi, almeno in parte, grato a Gesù Cristo di lante grazie et^ooQie
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