I primi due secoli della di Pasquale Villari
E LE ARTI MAGGIORI IX FIRENZE
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Insomma la terza costituzione, o del Primo Popolo, fu una costituzione politico-militare, che divise la Repubblica in Comune e Popolo, nei quali, come in due campi avversi, si raccolsero l'aristocrazia e la democrazia. L'esercito usciva in campo, a Comune ed a Popolo, le principali deliberazioni dovevano essere approvate dal Comune e dal Po}3olo. Che se una tal divisione ci sembra strana, essa era pure assai generale nel Medio Evo. La troviamo in molte città di Toscana, la troviamo a Bologna, dove i nobili ed il popolo formavano come due repubbliche, con leggi e statuti diversi, con due palazzi di residenza distinti. A Milano troviamo la repubblica tripartita nella Credenza dei Consoli, nella Motta e nella Credenza di Sant'Ambrogio, nelle quali erano la nobiltà maggiore, la media ed il popolo. E tutto ciò sembrava assai naturale, giacché le istituzioni ritraevano lo stato della società, e questa era divisa, perché sorta in origine dalla lotta delle popolazioni latine con le germaniche, dei conquistati coi conquistatori. I lontani eredi degli uni e degli altri si trovavano armati, in due campi opposti, pronti sempre a combattersi.1
In tale stato di cose è facile comprendere, come il governo centrale avesse a Firenze ben poca autorità, e come invece, nel contrasto continuo e nella gelosa emulazione, si andassero rafforzando sempre più il Podestà ed il Capitano. Il primo, sebbene si trovasse ora in compagnia ci' altri
1 Marchionne di Coppo Stefaui, nella sua Storia fiorentina (Lib. II, rubr. G3), parlando della prima divisione de'Guelfi e Ghibellini, dice: « Quasi tutte le famiglie che teneano ghibellina parte, cioè con Imperio, «erano nobili del contado, perché teneano feudo 0 castella dell'Imperio». E l'Ammirato, che aveva assai studiato le cronache e i doenmenti del tempo, facendo discorrere i popolani, a proposito appunto delle riforme del 1250, dopo aver notato che gli Uberti, come capi dei nobili, cran la cagione di tutti i mali di Firenze, ecco in che modo fa continuare il discorso : « Chi « ora sono i dissipatori dei nostri beni e delle nostre fatiche, con le immoderate tasse e imposte, se non gli Uberti? Questi dispettosi uomini reputarono per cosa onorata, fra gli altri lor belli e nobili costumi, d'esser « nostri nimici; perciocché vantandosi d'essere discesi dai principi d'Alema-«gna, chiamano noi altri villani e contadini, e ci disprezzano, come fossimo «composti d'un'altra massa.» Ammirato, Storie, Lib. II, ad annuiti.
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