I primi due secoli della di Pasquale Villari
, E LE ARTI MAGGIORI IN FIRENZE
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loro industrie ed il loro commercio, s' erano come formato un mondo a parte, costituendosi in una società divisa, e, fra certi limiti, indipendente da chi li governava. Rivolgersi dunque ai pili autorevoli fra costoro, era difficile e pericoloso, perché essi, capi del popolo guelfo, non potevano chiedere altro che la sua partecipazione al governo, il che sarebbe stato ben presto la rovina dei Grandi e dei Ghibellini. Dare, di loro propria iniziativa, parziali riforme neppure era facile ai Grandi, perché non si sapeva quali, né come darle, ora che il popolo si sentiva già in forza da dominar la Città. Si pensò quindi a chiamar da Bologna due cavalieri del nuovo Ordine detto dei Frati Gaudenti, il cui ufficio era di soccorrere vedove e pupilli, metter pace fra i partiti avversi. E perché apparisse un qualche segno più visibile d'imparzialità, si volle che fossero guelfo l'uno, ghibellino 1' altro. E tutto ciò fu fatto col consenso, anzi quasi per consiglio di papa Clemente IV, il quale, provenzale e grande sostenitore di Carlo d'Angiò, scriveva continuamente lettere imperiose 1 ai Fiorentini, come se per la vacanza dell'Impero, ne potesse egli assumere l'autorità, e come se, per la vittoria di Carlo, fosse divenuto il loro padrone.
Questi frati gaudenti però, il cui Ordine durò poco, erano, secondo il Villani, uomini dati più ai loro piaceri, che capaci di trattar seriamente l'impresa loro affidata di far come da podestà in Firenze, proponendo anche le nuove riforme. E tanto ciò era evidente, che essi stessi videro subito la necessità di consigliarsi e intendersi con le Arti. Laonde, arrivati in Città, alloggiarono nel Palazzo del Comune, e convocarono un Consiglio di 36 mercatanti guelfi e ghibellini, i quali cominciarono subito a radunarsi ogni giorno, per discutere, nella Corte dell'Arte di Cali-mala, o sia de' panni forestieri che si raffinavano in Firenze, dove questa industria era assai progredita e formava già
1 La più parte di queste lettere si trovano pubblicate nel Martène, altre ne dà il Del Giudice nel suo Codice diplomatico di Carlo I e Carlo II d' Angiò.
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