I primi due secoli della di Pasquale Villari
AI TEMPI DI DANTE
137
ViliE intanto Carlo di Yalois, con la solita mala fede, per sempre più ingannare tutti, scriveva il giorno 20 settembre, al comune di San Gimignano : « Siate pur certi clie
presumere di farmi giudice nella lunga lite, dirò le ragioni per le quali io credo all' ambasceria.
Se G. Villani non ne parla, ne parla Dino Compagni (II, 25). alla cni autenticità credono il Bartoli, il Papa e il Del Lungo. E quindi chi di essi vuol negare l'ambasceria, senza negare affatto l'autenticità del Compagni, suppone che appunto in questo luogo, vi sia una interpolazione, la quale però in nessun caso potrebbe essere posteriore al manoscritto del secolo xv, in cni la notizia si ritrova. Restano però sempre quasi tutti i biografi. Infatti, Leonardo Bruni, che era nato nel 1369. parla assai esplicitamente dell'ambasceria; Filippo Villani, che era nipote di Giovanni, e che nel 1401 spiegava la Divina Commedia, per incarico della Repubblica, parla d'una legazione di Dante ad snmmmn Pontificem, urgentilus Beipubìicae necessitatibus. Assai più indirettamente e vagamente vi accenna il Boccaccio. E vero che questi non è uno storico autorevole, e che gli altri due non sono contemporanei. ila, quando si è riconosciuto tutto ciò, e si è ammesso ancora che alenni di essi hanno potuto copiare l'uuo dall'altro, e si è ammessa l'ipotesi di una interpolazione fatta nel Compagni, durante il secolo xv. resta pur sempre il fatto innegabile che, in tempi a Dante abbastanza vicini, coloro che studiavano le sue opere e ne scrivevano la vita, che potevano conoscer meglio di noi, credevano all'ambasceria.
Che ragioni abbiamo per negarla, senza nuovi documenti, noi che siamo cosi lontani? Non si sarebbe mai, dice il prof. Papa, mandato ambasciatore a Bonifazio VIII un suo avversario, che era l'autore della Monarchia. Ma prima di tutto, il tempo in cui fu scritta la Monarchia rimane finora sempre , disputabile e disputato. Molti la credono, come il prof. Del Lnngo, scritta assai più tardi. Dante allora, per qnanto ne sappiamo, era sempre guelfo, sebbene non fosse di certo favorevole alle pretese di Bonifazio, per combattere le quali il governo fiorentino lo mandava. Non v' è quindi nulla fin qui, che renda incredibile l'ambasceria.
C'è però un'altra ragione, addotta in ultimo dal prof. Papa, la quale secondo lui risolverebbe con certezza la questione. Se Dante fosse davvero, come dicono il Compagni e l'Aretino, andato ambasciatore a Roma, e rimasto colà, per ripartirne senza tornare a Firenze, la condanna d'esilio non avrebbe mai potuto dire, come dice, che egli era stato per mezzo del nunzio citato a comparire. — Lo Statuto voleva, che agli assenti o forenses la citazione venisse fatta per lettera. Dunque la citazione fatta per mezzo del nunzio, prova che Dante si trovava certamente in Firenze, e però non era andato a Roma. — A mio avviso questa obbiezione non può avere il peso che vorrebbe darle il prof. Papa. Lascio da parte, che non è possibile fare
| |
Carlo Yalois San Gimignano Villani Dino Compagni Bartoli Papa Del Lungo Compagni Leonardo Bruni Filippo Villani Giovanni Divina Commedia Repubblica Dante Pontificem Beipubìicae Boccaccio Compagni Dante Bonifazio VIII Monarchia Monarchia Lnngo Bonifazio Dante Compagni Aretino Roma Firenze Statuto Dante Firenze Roma Papa Dante Papa Papa
|