I primi due secoli della di Pasquale Villari

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      CAP. IX — LA REPUBBLICA FIORENTINAnon è punto intenzione del Papa né mia de iuribus htri-sdìctionibas seu libertcttibus, qacie per comunitatis Titsciae tenentur et possidentur. in aliqtto nos intromictere, sed po-tius... favorare ».1 Ma i Fiorentini non si lasciarono illudere da queste mendaci promesse, ed il 7 di ottobre elessero, con anticipazione, la nuova Signoria, cercando di accomiinarla fra le due parti, sperando cosi di calmare
      assegnamento di sorta sulla scrupolosa osservanza delle forme legali per parte di coloro che osavano condannar Dante come barattiere, e lasciavano rubare, ferire, assassinare i Bianchi, senza darsene pensiero alcuno. E lascio da parte che, come tutti sanno, nei tumulti fiorentini, specialmente allora, le leggi venivano assai generalmente violate cosi nella forma come nella sostanza. Ma io non credo che, secondo lo Statuto, il Podestà fosse in nessun modo tenuto a citare per lettera l'Alighieri assente. Il forensis non è l'assente, colui cioè che extra cicitatem tua net, è invece, secondo lo Statuto, colui che non ha domicilio nella Città, nel suo contado o nel distretto. E verissimo che al forensis la citazione doveva farsi per lettera ; ma non cosi all'assente, a colui cioè che trovavasi lontano, ma aveva il domicilio in Firenze, come sarebbe stato il caso di Dante, se trovavasi a Roma. Secondo lo Statuto era allora necessario andare alla casa, dimittere cedulam, e poi affiggerla alla porta. Infatti esso, che sempre menziona esplicitamente la presenza personale, quando è richiesta, qui invece non ne parla. Anzi aggiunge che, ove venisse provato che il citato ma ne r et extra Civita-few, allora la citazione doveva farsi pubblicamente, nella piazza di San Giovanni ed in quella d'Or S. Michele, e poi doveva affiggersi la cedola al Palazzo del Podestà. (Statuto, Lib, I, rub. 74, De officio ìiunciorum; Lib. II, rub. 2, De officio iiuìicniii maìeficiontm, et de modo procedendo in criminalibns; ed anche Lib. II, rub. 68 e 09).
      Dante adunque non era forensis, e se andò allora a Roma, era solo assente; la sua ambasceria, deliberata nel settembre, dovè presto finire, perché un nuovo e contrario governo entrò in ufficio l'S novembre; la sua condanna d'esilio fu pronunziata il '27 gennaio dell'anno seguente. Egli fu con altri tre citato a comparire, per scusarsi e difendersi. Nou essendo venuto, come non vennero gli altri, e come non sarebbe nessuno di loro venuto, quando anche si fosse trovato in Firenze, furono condannati, come sarebbe in ogni caso seguito. Cosi, a stretto rigore, non può dirsi neppure che questa volta fosse stata violata la forma legale, sebbene in quei giorni venissero senza scrupolo di sorta calpestate la giustizia, le leggi e l'umanità.
      Non vi sono dunque, come ammette il prof. Bartoli, ragioni per dire addirittura che l'ambasceria non era possibile. E se il silenzio (lei Villani par singolare, se l'affermazione del Compagni si vuol credere che sia stata interpolata, rimai) sempre vero che all'ambasceria si credeva in tempi che a Dante erano assai vicini, e da nomini che della sua vita sapevano pili di noi. Per queste ragioni, pure ammettendo il peso dei dubbi più volte esposti, io, lino a prova in contrario, credo all'ambasceria.
      1 Vedi la lettera in Del Lunco, voi. 1, Appendice VI, pag. XLV e XLVI.


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I primi due secoli della storia di Firenze
Volume Secondo
di Pasquale Villari
Sansoni Firenze
1894 pagine 269

   

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