Storia della Repubblica di Genova di Carlo Varese
LIBRO TERZO 281
volentieri seguirvegli per pruovare coinè 1'utilità t*aS dell' impero fosse appunto nella forza e nella grandezza della Repubblica. » E qui ripetevano le solite ragioni delle correrie dei corsali e dei Saraceni, e come piccoli stati fossero insufficienti a difendere un lido così aperto a chiunque yolesse farsene padrone : e riepilogavano i diplomi dei Cesari antecessori , e magnificavano i soccorsi d' armi e di navilio che aveano sempre e in ogni incontro dato loro senza compensi. E dimostrata come meglio seppero la necessità di tener unite in un solo stato le città delle due riviere, proseguivano : « Ogni corpo dover aver un capo : al capo dover le membra obbedire : rammentassero la favola di Metello. Certo Genova aver il nerbo delle ricchezze e della forza, ma se non avesse, non sarebbe più capo : delle ricchezze goder sola, cosa assurda il dirlo: le ricchezze non si mangiano ; a goderne forza è spenderle, chi non lo sa? E i Savonesi, e i Vinti-migliesi, e i San Remaschi e gli Albenganesi usufruirne al par dei Genovesi nelle debite proporzioni, e all'avvenante della industria di ciascuno, essere inutile sparnazzar parole per pruovarlo. Soggiungono essere le loro città soggette al romano Impero : ma sì che sono, nè noi siam qui per contrastare ciò di che ci pregiamo noi stessi. Sono vostre, o Cesare, fatene voi il piacer vostro : ma piacer vostro non può essere smantellarvi i fianchi perchè *» chi vuole ve li punga : piacer vostro non può essere inimicarvi un gran popolo perchè due o tre
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