Storia della Repubblica di Genova di Carlo Varese
libro quarto. 379
mi bel di del febbrajo il nerbo del presidio di Parma sortiva da due porte ad una volta , e correva sulle prime scolte, sui primi drappelli che trucidava , o strascinava seco sotto le mura non ancora uè bene chiuse nè ben munite della città novella. Stavano gì1 imperiali senza cure e senza sospetti, siccomè quelli che sapevano d'aver nemici macerati, afflitti, piuttosto ombre ambulanti che uomini atti alle armi e agli assalti: non opposero quindi che la difesa di chi è colto senz' elmo e senza spada. Fu terribile la strage che di loro fu fatta: pochi ne camparono : il tesoro, i fornimenti reali, la stessa reale corona , gemme, perle di molto valore, tutto fu preda del vincitore che spianò le mura odiate e i guarnimenti, colmò le fossa, adeguò al suolo gli edifizii già surti, ricacciò in somma l'aratro in quelle terre che all' aratro erano state tolte, c che parevano destinate a ripercuotere il fragore dei cocchii e delle officine cittadine, piuttosto che a riprodurre le biade.
Questa sconfitta alienava dall' Imperatore molli de' suoi alleati : ciò è di tutta ragione, e fu di tutti i tempi, salve assai poche eccezioni. Per dire soltanto di quanto appartiene alla nostra storia, noteremo che tornarono all'obbedienza di Genova i popoli della tunigiana e della Garfagnana, ed i Marchesi Malaspina: dalla parte di ponente, molte terre, ma non Savona, la quale però vedea anch' essa avvicinarsi 1' ora della sua redizione, sapendo di non poter resistere ove le mancassero,
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