Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini
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e la vita; e molti di coloro che Paveano tradito e fatto plauso alla sua caduta, dall' alto dei patiboli e dal fondo delle carceri, imprecando alla fredda crudeltà del francese, sospiravano la cavalleresca signoria dello Svevo. Della stirpe di Federigo rimaneva il giovine Corradino nipote di Manfredi ed unica speranza del partito ghibellino, il quale a forza di lusinghe e di preghiere strappò il giovinetto ai presaghi amplessi della madre, e lo permase a scaldere in Italia, onde ricuperare il trono dei snoi antenati.
Giunto a Pavia, e trovati i Guelfi che sul Po gli contendevano il passo, fece per mezzo dei Pisani suoi alleati chiedere alla repubblica il passo, onde imbarcarsi sulle galere di questi ; nell' istesso tempo gli ambasciatori del papa, di Carlo d'Àngiò e del re di Francia sollecitavano il contrario. Mentre i reggitori, timorosi del presente e incerti dell'avvenire, tiravano in lungo, dobbii a cui condiscendessero, Corradino traversò celeremente gli Appennini, e trovate a Varagine venticinque navi pisane che P attendevano, secondo il convenuto, avanti che alcuno ostacolo gli si opponesse, veleggiò verso Pisa. Le truppe che l'avevano scortato a Varagine, rivarcato l'Appennino, passando per la Lunigiana, raggiunsero il loro duce. Non fu il nipote più fortunato nell' assaltare il regno di Napoli di quel che lo zio fosse stato in difenderlo; ma lo superò nella sventura, perchè questi cadde combattendo nella giornata di Benevento; l' altro sconfitto a Tagliacozzo, lasciava sul patibolo il giovine capo in espiazione dell' essere stato vinto. £ il suo carnefice Carlo D'Angiò, con le mani fumanti ancora di tanto sangue cristiano, passava in Affrica a combattere gli infedeli in nome di Cristo.
Lodovico di Francia, non scoraggilo dall' esito infelice delle spedizioni passate in Palestina, andava a farvi ancora un' estrema prova; tanto più che presa Cesarea dai Mussulmani d'Egitto, i Cristiani erano minacciati di una estrema rovina. Solito ad avere a compagni i Genovesi, mandò anche questa volta a chiedere aiuti, che non gli furono negati. Le venticinque navi della repubblica con diecimila soldati di sopraccarico, unitesi a quelle del re e degli altri che erano con lui, si mossero verso Tunisi, per punire le piraterie di quel sultano, e con la speranza che la conquista di questa città avrebbe agevolata quella prefissa dell'Egitto. Questa risoluzione presa nel viaggio non riusci molto gradita a' Genovesi, i quali, esercitando un florido commercio con quello Stato, e molti dei loro negozianti essendovi stabiliti, temevano, non a torto, che il sultano, vedendosi assaltato, non inveisse per
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova 1856
pagine 607 |
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Pagina (139/637)
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