Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini
462 STORIA
•di armi e d'armati, quantunque non in egual proporzione provvedessero alle vettovaglie. Dopo avere gli assalitori battuta inutilmente la torre per varii giorni con trabocchi ed altre macchine, poiché videro che la solidità dell'edificio e il duro scoglio su cui era fondato rendevano vani i loro sforzi, girata la via di Promontorio e postatisi in numero sufficiente tra il Faro e la città, convertirono l'assedio in blocco, ed attesero dalla fame ciò che le armi non potevano.
Non tardò questa in breve a farsi sentire tanto più terribile, quanto minore era la speranza di essere soccorsi da quelli di città, poiché dalla parte di terra impedivano 1'accesso i nemici, dalla parte di mare i bassi fondi. Un meccanismo ardito ed ingegnoso sopperì per qualche tempo a questa necessità. Si fece avvicinare alla torre, non tanto che i nemici la potessero offendere, la più grossa nave del porto ed ancorare solidamente. Lungo un grosso canape teso fra la cima della torre e quello dell'albero scorreva per mezzo di carrucole una bussola di legno entro di cui un arrisicato marinaio, viaggiando per aria, recava all'affamato presidio i viveri presi sulla nave. Questo espediente inatteso avendo tolta ai nemici la speranza di prendere la torre per fame, ricorsero alla mina. A forza del lavoro lento ed incessante dello scalpello cavarono con incredibile ostinazione una via sotterranea fino ai fondamenti della torre, sottratti i quali e sostituitivi dei puntelli di legno, stava in loro balìa il farla crollare, tostochè il fragile sostegno fosse stato dato alle fiamme.
Terminalo questo lavoro un trombetta intimava ai soldati del presidio di arrendersi. Risposero, che, incaricati dal proprio governo della difesa della ròcca, non l'avrebbero abbandonata senza il consenso della città. Un giorno solo fu loro accordato per ottenerlo; ma essendo il mare agitato ed il vento infuriando, all' uomo della bussola dopo meglio che otto ore di una inutile lotta fu impossibile recare il messaggio alla nave, onde i soldati stretti dalle minaccio di quei di fuori e dalla necessità della fame, poiché la stagione pessima avea da molti giorni esausta la solita sorgente dei viveri, si arresero, salve le persone. Dopo tre mesi d'assedio, di pericoli e di patimenti il presidio che era ridotto a sette uomini, ritornò in città, dove lo aspettava una ben crudele ricompensa del suo valore. Li accusava la plebe inferocita di tradimento: tradotti avanti ai capitani, al podestà e all'abate furono da costoro, più timorosi d'affrontare gli sdegni di una moltitudine
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova 1856
pagine 607 |
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Pagina (178/637)
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Promontorio Faro
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