Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      248 STORIApondeva con un segno uguale di assenso, e spiegava le vele, allontanandosi per cercare altrove una fortuna più propizia alla sua patria.
      Entrarono i venturieri veneziani in Chioggia e divisi ordinatamente in drappelli saccheggiavano per tre giorni la città. Il presidio, sparuto e macero dalle fatiche e dalla fame, come quello che su gli ultimi tempi si era ridotto a cibarsi di animali immondi, del cuoiame degli scudi e delle scarpe fu radunato sulla pubblica piazza ove fu proceduto alla divisione dei soldati che lo componevano. I Padovani e gli altri Italiani toccarono come era convenuto ai venturieri, i Genovesi, i quali come racconta un cronista contemporaneo, furon riconosciuti dagli altri per mezzo del vocabolo cavra fatto ripetere a ciascun prigioniero e che essi pronunziavano crava come porta il loro dialetto, furon tradotti nelle carceri di Venezia, ove la gentilezza delle donne, del Doge, dello Zeno e del Pisani rese men dura a molti la prigionia. Ascendevano questi a più di quattro mila, i Padovani a tre centinaia, degli altri è incerto il numero. Cosi per P intemperanza, e per l'ostinazione dell' ammiraglio Pietro Doria un' impresa cominciata felicemente tanto da far tremare Venezia per la sua stessa esistenza, terminava con la distruzione e la prigionia di una flotta e di un esercito fioritissimo dopo, un assedio di otto mesi sostenuto con magnanimi esempi di valore e di abnegazione.
      La caduta di Chioggia non die' fine alla guerra: la flotta genovese comandata dal Maruffo e da Gaspare Spinola si volgeva verso le coste della Dalmazia impadronendosi col favore di una parte degli abitanti avversi al dominio veneziano, di Trieste, di Capo di Istria e di Pola, acquisti di poca durata e insufficienti a compensare le perdite precedenti. Questi successi e P assedio con cui le truppe del Carrara stringevano Treviso ristoravano gli animi a più liete speranze, quando la morte del patriarca di Aquileia, la mancanza dell' esercito di Ungheria che andava con Carlo di Durazzo alla conquista del regno di Napoli, costringevano la flotta genovese dopo un vano tentativo sopra Parenzo, a dismettere ornai ogni pensiero contro Venezia e ricoverarsi in Zara. I nemici dal canto loro ripigliavano la torre di Bebe ultima a rendersi con un presidio ridotto a quaranta uomini, la maggior parte feriti. Vettore Pisani moriva sulle coste di Puglia dopo avere ricuperato le terre perdute in Dalmazia e combattuto infelicemente contro dodici navi genovesi mandate per grano nelle vicinanze di Manfredonia. Carlo Zeno tentate invano le terre soggette al patriarca di Aquileia all' av-
     


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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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