Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini
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(1383) Gli Otto della moneta accusavano il doge di esser ligio ai nobili, e di governarsi più a modo di signore assoluto, che di primo magistrato di uia liepubblica libera, come quello che, non contento di assottigliare le esauste finanze dello Stato, con mantenere una guardia propria, cercava ora di accrescerla. Gli rimproverarono inoltre F istituzione di un maestro di giustizia, dipendente totalmente dai cenni di lui, e autorizzato a procedere sommariamente contro qualunque persona, fino alla pena di morte. Chiedevano che i nobili fossero privati delle magistrature, lui stesso della guardia, il maestro della giustizia soppresso, e 1' autorità di questo restituita, come prima, ai podestà. Il doge essendosi ingegnato di difendere le proprie intenzioni e di respingere 1' accuse, ed il consiglio essendo diviso di parere, il ricorso degli Otto non ebbe conseguenza; solo il popolo ne prese animo a far sentire anche egli la sua voce.
Cominciarono i macellari a lamentarsi e protestare contro una nuova tassa imposta sulle carni, delle quali era grande lo spaccio nella pasqua che si avvicinava. Non avute dal Doge altro che belle parole, uscirono di città, e radunatisi alle due chiese di S. Benigno e di S. Bernardo, diedero nelle cam- ' pane. Accorsero tosto i vallesani circostanti, solili a pigliar parte in ogni movimento della città, tanto più che, essendo il giovedì santo, giorno, in cai i bronzi sacri tacciono, quel subito rintocco avea riscossi maggiormente gli animi. Entrarono in città, in numero di duemila uomini, percorrendo le strade alle grida di viva il popolo, e muoiano le gabelle, e si accolsero alla chiesa di S. Domenico. In mezzo a quella adunanza tumultuaria si stabili di chiedere al doge l'abolizione delle gabelle sulle grasce e la esclusione dei nobili dal magistrato degli anziani e dagli altri. Leonardo di Montaldo ivi presente fu incaricato di presentare con altri quattro deputati, questa richiesta al doge. Questi essendo rinchiuso nel palazzo con poca gente e temendo che il popolo, il quale aveva già fatto man bassa sovra il maestro della giustizia e sopra un capitano dei fanti mercenari, non precipitasse in qualche più grande eccesso, acconsentì a tutto per bocca del suo cancelliere e fece gittare da una finestra sulla piazza, alla plebe avida di cose sensibili, il libro ove erano registrate le tasse che fu tosto fatto in brani.
Se queste concessioni erano forse sufficienti a calmare la folla, a coloro che si ripromettevano un altro esito dall' averla agitata non bastavano. 11 giorno di Pasqua la città era sempre in arme e in tumulto; furono eletti
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova 1856
pagine 607 |
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Pagina (271/637)
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