Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      DI GENOVA 306
      oltre all'avere ottenuto larghi privilegi marittimi, erano lasciati viver con i propri statuti municipali, resisterono valentemente ai primi assalti degli Aragonesi f che si videro in tal modo costretti a porvi un assedio regolare. Ma dopo un assedio di sette mesi, tempestati continuamente dal trarre delle bombarde aragonesi i Bonifacini stremi ornai di viveri e di difensori, pattuirono con Alfonso di arrendersi fra quaranta giorni, ove non fossero soccorsi, e diedero in ostaggio molti giovani delle principali famiglie per garanzia della loro fede. Mandarono poscia celeremente a Genova un loro messo, a farvi conoscere lo stato delle cose e a sollecitare qualche aiuto. Lo spazio concesso era breve: appena disceso in terra l'inviato, tutto polveroso e incolto, senza riposare un momento dalle fatiche del viaggio, accorse al palazzo, e si presentò al consiglio e al doge. Dipinse la trista condizione a cui la fedeltà a Genova avea ridotto i prodi cittadini di Bonifacio, enumerò i guasti sofferti nel corso di un assedio cosi lungo; oramai ogni mezzo proprio di difendersi essere esaurito, aver fiducia in Genova come in ultima speranza. Si rammentassero dell' antica fede, e della nuova costanza, provvedessero celeremente e finché v'era tempo, affinché indugiando, non avessero i Bonifacini a lamentare. poi inutilmente la perdita della patria, essi quella di una colonia tanto affezionata.
      Queste parole, e le lacrime, con cui il messo di Bonifacio le accompagnava, commossero a tanto più grave dolore i reggitori dello stato, quanto meno si vedeva possibile, il poter fornire gli aiuti richiesti, essendo la popolazione della città decimata dalla peste continua, e l'erario esausto. Ma al difetto della Repubblica, supplì la generosità del doge, il quale, licenziato l'ambasciatore, con l'incarico di confortare i suoi concittadini, e con la speranza che gli ainti non sarebbero mancati avanti al tempo prefìsso alla resa, raccolti prestamente tutti i suoi privati ori ed argenti, mandò a Lucca ad impegnarli ai ricchi banchieri di quella città per trentamila genovine d'oro. Si armavano con questo danaro sette navi grosse, e si provvedevano abbondantemente di marinari presi dalle riviere perché non infette dalla pestilenza, e di munizioni, onde vettovagliare la piazza assediata.
      Partì l'armata fiduciosa della vittoria, tanto più che essendosi i venti contrari che impedivangli l'uscita dal porto mutati dopo pubbliche preghiere ordinate a quest'uopo, pareva alle ciurme che il cielo avrebbe condotta a buon fine un' impresa la quale fin da principio mostrava di favorire. Gre-
     


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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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