Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      386 STORIAantichi privilegi erano liberi da ogni peso; si gravassero i cittadini grassi a cui stava bene il soffrire i carichi poiché soli godevano gì' impieghi e tutti gli altri onori della Repubblica. Inoltre per non trascurare alcun mezzo, facevano continui reclami al governatore pregandolo a non volersi lasciare influenzare dai consigli dei cittadini potenti; allo stesso re Carlo VII furono scritte lettere onde interessarlo in favore dei popolani. Questo fermento era causa che molte radunanze e capannelli si facevano quasi tutti i giorni nella città, e con accese parole si ragionava dei casi presenti senza che si venisse ad alcuna risoluzione definitiva. Finalmente il 9 marzo 4461 si raccolse un assemblea numerosissima a cui intervennero tutti gli artigiani con i loro capi ed i popolani più influenti. Le discussioni si erano protratte per lungo tempo senza conclusione al solito, quando un giovinetto di umile condizione stanco di codeste dicerie inefficaci levando la voce sopra gli altri gridò: a che seivono tante parole e ragionamenti nei quali i nostri avversari essendo più valenti avran sempre il disopra ? a noi convengono i fatti, e la spada è unico rimedio al caso presente. Pronunziate queste parole usci fuori nella vicina contrada di S. Stefano e cominciò a gridare All' Armel Codesto appello negli animi già predisposti non suonò invano; in un momento le vie della contrada formicolavano di gente annata. La vicina porla e le torri di S. Andrea furono occupate, protestando sempre i faziosi di non esser mossi per desiderio di rivolgere lo Stato o per odio contro il re, ma perchè fosse fatta ragione ai loro reclami. Il governatore Luigi La Vallèe non credè di dover spegnere quelle prime fiamme colla forza aperta; ma sperando che gli animi si sarebbero calmati, e che i buoni consigli avrebbero in questo frangente fatta buona prova, mandò alcuni cittadini amanti dell' ordine ai rivoltosi, affinchè li consigliassero a posare le armi e li riducessero a temperati pensieri. Ma successe tutto il contrario: perchè i tumultuanti vedendosi accarezzati crebbero in orgoglio e molli «he per paura si erano astenuti aspettando, vedendo die le cose pigliavano la piega che desideravano, si unirono anch'essi agli altri. Allora il governatore temendo che col crescere del tumulto non gli fosse tagliata la via di riparare in Castelletto, e confidando sempre che l'indugio avrebbe di per sè affievolita l'irritazione presente, abbandonò il Palagio e si ritrasse nella fortezza.
      Non lasciarono pertanto i cittadini zelanti della pace di intromettersi
     
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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