Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini
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DI GENOVA 417
lavoro si sospendesse, ed il Pallavicino impaurito anche esso, dubitando che il tumulto non dovesse finirla, si ritirò in Castelletto, d'onde avvisò subito il duca di ciò che era seguilo.
Pochi giorni dopo, arrivava da Milano un ordine di mandare al duca otlo dei principali cittadini a dare spiegazione del fatto. Quantunque, essendo nota la natura crudele e tirannica di Galeazzo, si temesse che gli ambasciatori non avessero a capitar male, nonostante si trovò chi ebbe il coraggio di andare. Furono ricevuti con maggiori dimostrazioni di gentilezza di quello che si aspettavano. Francesco Marcliese dottore di legge, avendo avuta la facoltà di parlare a nome di tutti, conoscendo forse il carattere di Galeazzo, il quale era timido con i violenti, e violento con i timidi, non addusse scuse ne indirizzò preghiere; ma espose francamente le ragioni che avevauo i Genovesi di lamentarsi del governo ducale. Disse; avere i Genovesi, indotti dalla rarità e tirannia degli ultimi dogi, accettata la signoria straniera, la quale dal governo giusto e paterno del padre di lui gli era stata resa dolce e leggera. Ora la intemperanza, le brighe, con cui i ministri ducali tentavano da mollo tempo di seminar la discordia fra i cittadini, le mura che contro tutte le convenzioni dei trattali si erano cominciate ad edificare solto Castelletto, davano a dimostrare che le intenzioni del duca fossero di distruggere affatto la libertà della Repubblica. In questo caso si rammentasse essere più durature le signorie fondate sulla benevolenza che quelle mantenute con la forza; si rammentasse essere più facile il passare dal principato alla libertà, che dalla libertà al principato; perchè nel secondo caso non vi ha che lo stimolo dei mali presenti, nel primo Y eccitamento è duplice od oltre alle sofferenze del momento vi si aggiunge Y ingenito amore della libertà. Sebbene la fortuna dei Genovesi fosse mutata, non essere mutato nonostante il loro valore; il quale in quella guisa che i loro padri lo usarono alla conquista di terre lontane, cosi essi non essendogli altro ben rimasto concentravano tutto alla difesa della loro libertà. Galeazzo sopraffatto dalle ardite parole del Marchese, congedò benignamente l'ambasceria, permettendo ai Genovesi di regolarsi rispetto alla costruzione del muro, come meglio loro piaceva.' La plebe profittò ampliamento di questa licenza: perchè andata là dove erano i lavori incominciati, con grande allegria, e con motti frizzanti verso il duca, guastò tutto quello che era stalo fatto.
Anche questa insolita benignità, in Galeazzo fu di poca durata: mortificato
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova 1856
pagine 607 |
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Pagina (437/637)
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