Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      della classe povera. Infatti, dicevano essi, se la Repubblica per sussistere ha bisogno delle imposizioni, e se da questa che si vuol togliere onde alleviare i ricchi, essa ricava il suo reddito principale, è certo che per supplire alle necessità dello Stato, il governo sarà costretto a mettere nuovi balzelli, che prenderanno di mira il popolo.
      In Senato la proposta incontrò una lunga opposizione, che finalmente fu vinta per opera principale di Battista Grimaldi: cosini rappresentava quanto fòsse ingiusto il mantenere una tassa fondata sulle ricchezze particolari di ciascun cittadino; imperocché queste, e specialmente le fortune mercantili, essendo soggette a cambiare e la tassa rimanendo sempre la stessa, ne seguiva una discrepanza continua tra il capitale e la imposizione che vi gravava. Approvata la legge in Senato, per non lasciare le finanze sprovviste, e non irritare viemaggiormente la plebe giustificando le preveggenze dei suoi caporioni, fu stabilito che il magistrato di S. Giorgio sovvenisse per allora ai bisogni del comune, pagandogli l'annua somma di trentamila liré. All' esterno le cose non erano tanto quiete quanto sembravano richiedere i voti comuni.
      Da un lato Carlo VIII re di Francia tenendosi burlato per le offerte precedenti, minacciava; dall'altro pirati Catalani, Napoletani e delle riviere, danneggiavano ed incagliavano il commercio. Al primo pericolo rimediava nonostante 1' antiveggenza di Lodovico il Moro, il quale per i nuovi pensieri ambiziosi che già eran sorli in esso, desiderando di tenersi in buoni termini col re, mandò a nome del Duca ambasciatori in Francia che ottennero in perpetuo pei signori di Milano la Repubblica di Genova in feudo, con quelle stesse condizioni con cui il re Luigi padre di Carlo F aveva data a Francesco Sforza. Questo atto che per essere arbitrario e fatto senza consultare in alcun modo il parere dei Genovesi avrebbe in altri tempi suscitato gravi commozioni, passò allora quasiché inosservato, perchè la nobiltà si era già di lunga mano abituata a riguardare con simpatia le signorie forestiere, gli Adorni e le altre fazioni, avvezze a considerare la dignità della patria, maggiore, là dove erano più grandi i loro interessi di partito; la plebe stanca impoverita demoralizzata, era da troppo tempo usa a servire perchè d' ora in avanti si volesse pigliar la pena di domandare a cui.
      Ma lo splendore della riputazione e della potenza che la Repubblica andava a grado a grado perdendo, era compensalo dallo splendore delle feste
     
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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