Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini
di genova 97
Genova ove pareva sul principio che avrebbero avuto luogo i particolari accordi fra lui ed i principi italiani; ma per deferenza verso il pontefice essendo slata scelta invece Bologna, si aprivano ivi i negoziati sul principio di decembre, e sul finire dell'anno eran già stati firmati i trattati di pace con Francesco Sforza, i Veneziani, il duca di Ferrara e quello di Urbino. Clemente VII riebbe Cervi e Ravenna, mentre il principe di Orango dava opera a riporre nelle sue mani la sventurata Firenze, ove si era accampato (14 ottobre) con quelle stesse bande che non ha guari avean saccheggiata Roma. Intanto che l'eccidio di quest' ultimo palladio della libertà e della indipendenza italiana si stava consumando e che tutti gli stati italiani sollecitavano a Bologna l'amicizia ed i favori imperiali, Carlo V riceveva in questa città dalle mani del papa, prima la corona di re d'Italia, (21 febbraio) poi quella dell'Impero (24 marzo 1530). Questi atti erano come il suggello posto alla servitù della penisola: la capitolazione di Firenze (12 agosto) consacrava • la morte della nazione con un ultimo olocausto funereo tDa indi in poi scomparve il nome italiano dal teatro politico ove si agitano gli interessi delle altre nazioni d'Europa, e l'Italia fu considerata come una provincia destinala ad essere il premio di chi fosse più forte in sull' armi o più astuto nei consigli. Ben è vero che gli Italiani, dopo la invazione francese sotto Carlo Vili, si erano accorti, e durante tutte le altro, francesi, spagnuole, svizzere e tedesche, eransi persuasi del pericolo che gli minacciava, ma l'abitudine della disunione, gli odi municipali abbarbicati in lutti gli stali della Penisola, resero pressoché infeconda queste convinzione. Per tre volte, dal principio del secolo lino ai tempi di cui discorriamo, prima Giulio 11, poi Francesco Sforza, quindi Clemente YH, avean cercalo di stringere una lega e di combattere gli stranieri invasori con armi italiane, ma gli iniziatori slessi non aveano fede, né autorità, né talenti sufficienti a cotanta impresa, quindi non poterono superare gli ostacoli, e disperando se ne tolsero giù né d'altro si curarono che di salvar se stessi. Né questa fu colpa ma piuttosto necessità: fu bene colpa ed imprevidenza grandissima quella di non aver prima presentito e scongiurato il pericolo, come di chi navigando sopra un legno sdrucito si avventurasse con esso al mare, e poi qnando la tempesta infuria pretendesse racconciare la nave che già sprofonda.
Oltre l'imprevidenza, un altra causa cooperò a mandare a male queste
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova 1856
pagine 607 |
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Pagina (621/637)
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