Storia di Milano di Pietro Verri
CAPO NOiNOSimo, e si chiamava jus sextarii (i). Ma nemmeno di questi tributi sopra i pesi e le misure colava alcuna somma nell'erario della Repubblica. Verano anche allora i dritti esclusivi di poter tenere osteria nelle terre, e di vendere vino minutatlm ad modum Tabernae> come da una carta dell'archivio di Monza pubblicata dal conte Giulini (2). Ma di essi non pare che fosse al possesso la comunità di Milano. Erano dritti posseduti da' privati. Da ciò facilmente si comprende che pochissima rendita doveva avere la Repubblica, e quella sola che proveniva dai delitti, i quali per l'antica tradizione longobardica erano condannati con pene pecuniarie. Ma questa rendita era insufficiente, massimamente ne'bisogni straordinarj ; tanto più che le terre de' banditi si abbandonavano senza coltura, con incauto consiglio, se puramente si consideri l'economia pubblica; ma non affatto senza ragione, qualora si rifletta a que' tempi burrascosi, ne' quali conveniva che nessuna utilità uomo alcuno potesse ritrarre dalla rovina d'un cittadino. Una legge è come una fabbrica d'architettura; conviene averla osservata da tutt'i lati prima di poterne dare una opinione ragionevole, e le più strane talvolta in alcune circostanze sono le più sapienti. Per riparare la miseria della Repubblica già s'era l'anno 1228 fatto un decreto, per cui sei eletti avessero l'ufficio di censurare e conoscere ogni amministrazione pubblica; ed è una prova della difficoltà somma che s'incontrava nelle elezioni, per il contrasto de'partiti, l'osservare, come il decreto stabilì: che diciotto uomini si scegliessero a sorte, e di questi se ne elegges-
(1) Il conte Giulini, tomo Vili, pag. 128.
(2) Tomo VII, pag. 462.
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Storia di Milano
Tomo Primo
di Pietro Verri
Società Tipogr. de' Classici Italiani 1824
pagine 585 |
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Pagina (311/609)
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