Storia di Milano di Pietro Verri
capo decimosesto i5
mera dello storico * dovrà persuadersi della infelicità di que' tempi.
Ora conviene ch'io ponga sottocchio una fedele immagine del nuovo comandante delle armi milanesi Francesco Sforza. Sì tosto che il conte Francesco fu creato capitano generale della Repubblica di Milano, e che Tarmata di esso Conte venne allo stipendio de1 Milanesi, ei si trovò alla testa di forze valevoli a preservare lo Stato e da' Veneziani e da, ogni altro pretendente. Se egli le avesse rivoltate allóra per assoggettare a sè il ducato di Milano, avrebbe dovuto superare ad un tempo medesimo e le forze venete e le savojarde e le francesi, e l'entusiasmo della nascente libertà de' popoli non per anco stancati dai disordini dell'anarchia. I suoi soldati avrebbero ragionato for-s'anco del tradimento che si faceva ai Milanesi, della illegalità delle pretensioni sue alla successione nei ducato) si doveva temere o la defezione o la svogliatezza. Il Conte conosceva i tempi, gii uomini e gli affari. Egli era venerato come il più gran generale del suo tempo. Sapeva farsi adorare da' suoi soldati, che egli con una prodigiosa memoria soleva quasi tutti chiamare col loro nome. Nell'azione si esponeva con mirabile indifferenza e intrepidezza, e con voce militare animava nella mischia i combattenti. Padrone assoluto de' prò-prj moti, sapeva celare le cose che gli dispiacevano con mirabile superiorità d'animo. Accortissimo conoscitore de' pensieri altrui, antivedeva le risoluzioni de' nemici, che lo trovavano preparato mentre s'immaginavano di sorprenderlo. La reputazione dello Sforza era tale, che venendo da' Veneziani attaccato un drappello de' suoi ch'egli aveva postati a Montebarro, vi giunse il conte Francesco nel punto in cui i nemici vincevano
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Storia di Milano
Tomo Secondo
di Pietro Verri
Società Tipogr. de' Classici Italiani 1835
pagine 503 |
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