Storia di Milano di Pietro Verri

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      capo decimosesto 17
      cevere un tal riscontro rimase pensieroso il giovine Francesco, e dopo qualche taciturnità interpellò il messaggero: Dimmi, con quale aspetto parlò mio padre che £ incaricò di qicest' ordine? Il mes-saggero rispose che egli era assai incollerito. Non lo comanda adunque mio padre, disse Francesco 5 questo e V impeto di un uomo sdegnato, e mio padre a quesi' ora e pentito di aver detto così; indi fatti condurre alla sua presenza i prigionieri: Poiché mio padre, diss'egli, vi perdona,
      10 pure vi perdono. Siete liberi; se volete restare al nostro stipendio, vi accetto come prima; se volete partire, fatelo. La sorpresa di que' soldati che si aspettavano il supplizio, fu tale che lacrimando, singhiozzando giurarono fede alle insegne Sforzesche, e in ogni incontro poi se gli mostrarono affezionatissimi e valorosi. Quando Sforza intese
      11 fatto, confessò che Francesco era stato più prudente di sè stesso (i). Questo avvenimento ci fa risovvenire delle forche caudine: lo Sforza fu assai più avveduto che non si mostrò Ponzio. Francesco amava e venerava suo padre, e con ragione. Mentre appunto nel regno di Napoli Francesco stava alle mani co' nemici, vennegli il crudele annunzio che, poco discosto, Sforza suo padre, volendo soccorrere un suo paggio, erasi miseramente affogato nel fiume che stavano passando. Questa era la massima prova che potesse dare della padronanza di sè medesimo Francesco, soffocando l'immenso dolore e dirigendo la battaglia con mente e faccia serena, come fece (2). Questi fatti
      (1) Vedi Simonetta, Vila di Francesco Sforza. Rer. Ilal. toin. XXI, lib. I, col. 183.
      (1) Il citalo Simonetta, lib. I, col. 187, dice; quo nwitio Frati-ciscus gravissime ajjcctus dolorem immcnsum per summam con-
      Verri, Stor. Mil T. II.
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Storia di Milano
Tomo Secondo
di Pietro Verri
Società Tipogr. de' Classici Italiani
1835 pagine 503

   

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