Storia di Milano di Pietro Verri
CAPO VIGESIMO QUINTO 265
correre il duca Francesco rinchiuso nel castello di Milano già da sette mesi. Il duca d'Urbino Francesco Maria comandava le truppe de' Veneziani, e Giovanni Medici le pontificie. Clemente VII però non volle comparire aggressore, e scrisse a Carlo V un breve, in cui lo esortava con termini assai energici a desistere dall' ambizione di fare conquiste, ed a donare la pace alla Cristianità, ad ascollare sentimenti più umani, e provvedere alla propria fama. Questo breve venne spedito al Nunzio presso di Cesare, che era il coltissimo prosatore e poeta Baldassare Castiglione. Tre giorni dopo il Papa si penti, et altercali epistolam mittit aequiorem et moderatiorem per paucis verbis in eamdem sententiam; ma il Castiglione avea già eseguito il primo comando. L'Imperatore pubblicò la lettera del Papa e la sua risposta, la quale conteneva : Che Cesare aveva sempre operato per la tranquillità e la pace fra i Cristiani, e di non aver mai fatta la guerra se non provocato: Che se il Papa bramava la pace, ciò dipendeva da lui. Se poi invece di voler la pace, persiste a promovere il disordine, l'Imperatore se ne appella al futuro sacro ecumenico concilio, e prega il sommo Pontefice, in un tempo che rendevasi necessario alla religione, di convocarlo in nome di Dio immortale. Questo è in succinto il cesareo manifesto che allora venne pubblicato, e che si riferisce dal Sepulveda (i).
Non ostante questo carteggio tra il Papa e Carlo V, i Veneziani comandati dal duca d'Urbino presero Lodi per sorpresa e segreta intelligenza di Lodovico Vistarini, stipendiato cesareo. I Pon-tificj a tale annunzio passarono il Po a Piacenza
(i) Pag, i95.
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Storia di Milano
Tomo Secondo
di Pietro Verri
Società Tipogr. de' Classici Italiani 1835
pagine 503 |
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Pagina (273/516)
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